La Ribalta, ovvero della “partenza lanciata”
Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
06 ottobre 2016
Nella ormai quasi moltitudine di birrifici artigianali che affollano la penisola italiana non è facile distinguersi. Se ci si riesce significa che si è decisamente bravi. Ecco spiegato il motivo per il quale abbiamo deciso di accendere i riflettori sul milanese La Ribalta, brewpub neonato di cui sentiremo parlare a lungo…
Come un vecchio brontosauro ogni volta che aggiorno il numero di birrifici o di beerfirm artigianali italiani scuoto la testa e tendo a pensare al passato. Passato prossimo più che remoto, ma pur sempre passato. Il manipolo di eroi della metà degli Anni Novanta è diventato una moltitudine. Soprattutto in considerazione delle consuetudini birrarie dell'italiano medio. Sotto i 30 litri pro capite all'anno. Come dire, poco più di quattro birre medie al mese.
Ma la domanda potrebbe anche essere questa. È più facile aprire oggi un birrificio artigianale? In termini di moda e di ricettività del mercato sarei portato a dire di sì, ma riflettendo sul suddetto affollamento e sulla sempre più spietata concorrenza reciproca, beh, direi certamente no. E allora, per emergere, oggi come oggi, si deve proprio essere bravi.
E bravi lo sono senza dubbio i ragazzi del Birrificio La Ribalta. Con poco più di un anno di vita alle spalle sembra davvero che siano partiti letteralmente con il turbo. La loro prima cotta porta la data del 6 marzo 2015, due mesi dopo aprivano il loro locale (in via Cevedale 3 a Milano) e hanno chiuso lo scorso anno con 250 ettolitri di birra prodotti. Nel 2016, a luglio ovvero quando scriviamo, hanno toccato quota 800 e sono fiduciosi di brindare, alla mezzanotte del prossimo Capodanno, toccando i 1400 ettolitri.
Nella foto, da sinistra: Riccardo Berenato, Cosimo De Monticelli, Alessandro Meco (l’headbrewer) e Marco Longhi
I numeri dicono tanto, ma non dicono tutto. Non spiegano ad esempio la storia di tre ragazzi che si sono conosciuti sui banchi di scuola. Marco Longhi e Riccardo Berenato erano compagni di liceo. Il primo si è poi iscritto a Economia, il secondo a Scienze Naturali. In quella facoltà Riccardo ha incontrato Cosimo De Monticelli e, insieme, si sono riavvicinati a Marco. Grazie a una birra, ovviamente.
Birra che in realtà produceva già Marco a casa, dal 2010. Gli altri due la birra la bevevano volentieri. Ma come spesso accade in queste storie il virus per l'autoproduzione si fece subito sentire. Eccoli dunque con un impiantino da 50 litri a fare birra tutti i weekend. E a darci dentro come se non ci fosse un domani. Circa 400 litri al mese di media, immolati poi in feste tra amici e in bevute tra di loro.
Non si pensi tuttavia che i tre avessero un atteggiamento semplicemente alla Animal House nei confronti della birra. La loro passione è passione per la ricerca e lo studio, degli ingredienti e del processo produttivo, di tutto quello che c'è da sapere su un impianto di produzione così come su un impianto di spillatura. Si accollano una tre settimane intensa alla VLB, una università della birra con sede a Berlino che accoglie studenti da tutto il mondo, entrano in contatto con aziende ed esperti di peso come Weyermann, depositari dei segreti del malto, Charles Faram, tra i migliori allevatori di luppolo, e Kaspar Schultz, una delle firme dell'impiantistica birraria. E quando tornano a Milano, la decisione è presa.
Partono come partono in tanti ormai. Ovvero come beerfirm che si appoggia al birrificio Giusto Spirito di Rubiera, provincia di Reggio Emilia, e con due birre: la Cevedale, la loro pale ale, e la Re Mida, una Belgian Strong Ale. E partono a Milano che non è esattamente la piazza più facile d'Italia. Ma i nostri la birra dimostrano di saperla fare bene e i primi locali che li sostengono non tardano ad arrivare.
«Ma già quando eravamo una beerfirm sapevamo che il nostro punto d'arrivo, e di partenza, sarebbe stato avere un birrificio tutto nostro», puntualizzano. «Ci piace l'idea di poter sviluppare le nostre ricette, di avere il controllo totale del processo produttivo. Insomma, di poter decidere tutto. Che birre fare e quando farle».
Nel team entra presto Alessandro Meco che oggi è l'uomo che gestisce in prima persona la produzione, quello che in termini tecnici si definisce l'headbrewer; le birre si moltiplicano e la qualità migliora ancora, così come la costanza qualitativa, elemento fondamentale se si vuole stare sul mercato a lungo e non fare la bella, ma fugace, figura della stella cometa.
Oggi La Ribalta produce con continuità sette birre: alla Cevedale e alla Re Mida si sono aggiunte la Falstaff, una double Ipa, la Mr. Wolf, una American Red Ale, la Zona 9, una weizen, la Tetris, una India Pale Ale, la Nelly Bordon, una Blond Ale e la Bagheera, una sweet Stout. A queste si devono aggiungere due collaborazioni, entrambe lombarde: la The Uncommons con il lodigiano Brewfist e la IPL, acronimo di India Pale Lager, con il varesino Hammer. E ben sei stagionali: le invernali Re Mida di Natale, Iside, birra alle castagne e Morpheus, una Black Ipa e le estive Panoramix, una Blanche, Keyser Söze, una White Ipa e la Bovisa, una Cream Ale.
Una volta l'anno si divertono pure a produrre una Cevedale Harvest, con i luppoli freschi raccolti nel luppoleto italiano di Italian Hops Company.
Tante, troppe? È una domanda senza senso. Il bello, e il punto di forza dei birrifici artigianali, è la flessibilità unita alla voglia di sperimentare e, perché no, di divertirsi. Più importante sapere che se all'inizio il locale di mescita, letteralmente attaccato all'impianto di produzione, assorbiva il 90% circa dei volumi, oggi questa percentuale è scesa al 35%. Il che significa una cosa sola: che le birre della Ribalta piacciono anche in giro per l'Italia.
Se non è una partenza lanciata questa, non sapremmo come altro definirla. Certo, al momento il birrificio produce solo in fusti, keykeg per l'esattezza, ma considerato la velocità di pensiero e di azione del trio non abbiamo dubbi che a breve si sentirà parlare anche delle loro bottiglie. O, perché no, delle loro lattine.
Tuttavia, considerato che sono anche in grado di progettare e realizzare impianti di spillatura, da due vie in su, ci sarebbe anche da fare un pensiero sulla possibilità di "utilizzarli" anche in questo senso. A patto però di andarli prima a trovare. Non solo per le birre, ma anche per la cucina, che merita, e per la vista sull'impianto, visibile dall'esterno grazie all'azzeccata scelta di "nasconderlo" dietro delle ampie vetrate. In fondo, una delle regole auree quando si parla di birra è l'esperienza. Fatela dunque, al Birrificio La Ribalta.
Birrificio La Ribalta
Anno di fondazione: 2015
Birrificio e locale: Via Cevedale, 3
Orari: tutti i giorni, dalle 18 alle 2
Telefono: 02.39329002
Le birre da non perdere
La prima volta che sono approdato nel birrificio La Ribalta portavo con me il solito mix di titubanza e perplessità con la quale ormai affronto tutti i microbirrifici che sembrano essere spuntati recentemente in Italia come funghi dopo una pioggia settembrina. Ma il primo sorso di Cevedale, una pale ale da 4,9%, mi ha immediatamente cancellato qualsiasi ombra che potevo avere sul viso. Semplicemente perfetta, godibile, profumata, equilibrata e con il giusto finale che ti fa venir voglia di ordinarne immediatamente un'altra. Fatelo anche voi, se vi va, ma non perdetevi nemmeno altri gioielli della casa che dimostrano come questi ragazzi sanno davvero il fatto loro. La Falstaff, ad esempio, è una double Ipa da 7,5% vol. intensa ma non aggressiva o "noiosa" come se ne trovano spesso in giro, oppure la Bagheera, una sweet stout da 4,4% vol morbida e riconciliante (con che cosa decidetelo voi) o, infine, la Zona 9, weizen da 4,8% vol. che piacerà ovviamente agli amanti delle birre di frumento. Ma pure, e la cosa è notevole, pure a quelli che non ne vanno proprio matti. Come il sottoscritto, ad esempio.
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