1965-2025. Buon Compleanno AIS | Anni '90. Modernisti contro tradizionalisti, barrique contro botte grande

1965-2025. Buon Compleanno AIS | Anni '90. Modernisti contro tradizionalisti, barrique contro botte grande

Speciali ViniPlus
di Ilaria Ranucci
07 luglio 2025

Entusiasmanti, controversi, pieni di energia e di speranza per il futuro. Le Langhe assistono al fenomeno dei Barolo Boys e nasce Cantine Aperte, che pone le prime basi per il fenomeno dell’enoturismo

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 28 Maggio 2025

Gli anni ’90 del secolo scorso sono stati un momento vibrante e complesso per il vino italiano, che finalmente iniziò a ottenere buoni, se non ottimi in alcuni casi, riconoscimenti sui mercati internazionali, grazie alla concomitanza di più fattori. A partire in primis, dal ricambio generazionale e insieme la volontà di abbracciare una nuova filosofia produttiva grazie all’adozione di nuovi strumenti e tecniche di cantina. Cambia il paradigma produttivo, meno attaccato alle abitudini trasmesse dalle generazioni precedenti e più affascinato da quanto sta avvenendo oltralpe e oltreoceano. Nascerà un dibattito, spesso anche molto acceso, tutto incentrato sullo stile produttivo, che vedrà contrapporsi coloro che preferiscono rimanere ancorati alla tradizione e chi, invece, preferisce sposare il nuovo corso e rifarsi allo stile parkeriano, esemplificato dal massiccio uso del legno piccolo e dalla produzione di vini generosi, intensi e potenti. Una contrapposizione, quella tra tradizionalisti e modernisti, che scalderà non poco gli animi sia in questo decennio che negli anni successivi. L’esempio perfetto di questo tumulto, animato da grande entusiasmo e genuino desiderio di innovazione, è rappresentato certamente dall’epopea dei cosiddetti “Barolo Boys”, che inaugurano il decennio con un articolo celebrativo pubblicato addirittura sul New York Times. Una visibilità conquistata con grande fatica e partita dal desiderio di rinnovare realtà produttive ancora molto ancorate a metodi tradizionali, non ovunque applicati nel rispetto della qualità. In quegli anni si alternano storie di vino ancora venduto per lo più sfuso e pagato poco, liti feroci tra padri e figli, barrique nascoste, anziani che piangono a veder diradati i grappoli in vigna e le vecchie e grandi botti distrutte a colpi d’ascia. Storie di voglia di crescere e di coraggio, nonché di stupore, quello nato viaggiando e osservando cosa si faceva altrove.

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Un periodo ben raccontato dal documentario dal titolo: “Barolo Boys - Storia di una rivoluzione”, diretto da Paolo Casalis e Tiziano Gaia e uscito nel 2014. Fa oggi sorridere, forse amaramente, l’immagine di un giovane Elio Altare che, in viaggio con pochi mezzi, incrocia Philippe Engel, produttore francese che invece sta partendo in Porsche per un fine settimana sul suo yacht. Sono le storie di un gruppo di produttori partiti in sordina e poi arrivati, complice anche il lavoro del giovane italo-americano Marc de Grazia, che si propone come intermediario per il mercato americano, al trionfo a stelle e strisce, con il risultato che gli occhi del mondo enoico si posano sulle Langhe, a beneficio di tutti. Ma non è tutto oro quello che luccica, perché non tutti pensavano che nebbiolo e barrique fossero il connubio ideale e che il disinvolto uso dei piccoli contenitori di legno nuovo fosse in grado di rendere onore a quel vitigno così nobile, quanto a stravolgerlo. Anche perché nelle Langhe le voci contrarie al nuovo stile erano produttori tradizionali, di qualità ineccepibile e non certo carenti di carattere e personalità: Teobaldo Cappellano, Beppe Rinaldi e Bartolo Mascarello i nomi di chi non accettava il nuovo corso. Impossibile dimenticare la veemenza di quest'ultimo, un passato da partigiano, espressa da etichette diventate iconiche come “No Barrique, No Berlusconi” o “Il ne faut pas faire des barriques mais des barricades”. Ma anche le polemiche stimolarono la curiosità e la voglia di conoscere, solleticando l’interesse dei consumatori. Proprio in quegli anni, nel 1993, nasce il Movimento Turismo del Vino e un evento che dura, con successo, tuttora: Cantine Aperte.

Solaia 1997 - Antinori

“Rubino carico, con sentori di uvetta matura e spezie: di corpo pieno e molto masticabile...con tannini levigati e un finale lungo, potente e fruttato. Un rosso solido e muscoloso proveniente dalla Toscana, che è il miglior Solaia mai prodotto”. È la descrizione con la quale nel 2000 Wine Spectator elegge come “campione del mondo” il Solaia del 1997, emblema di quei Supertuscan che stanno conquistando il mercato e le copertine di tutte le riviste più importanti. Il Solaia era in realtà già da tempo sul radar dei grandi critici enologici, non fosse che per la firma illustre di chi lo creava, Giacomo Tachis, stessa mano del Sassicaia. Le famiglie che producono i due vini sono legate da rapporti di parentela e sono a dir poco storiche. Il Solaia nasce sotto l’egida degli Antinori, non proprio produttori di prima generazione, dalla Tenuta Tignanello, risalente al 1300 e appartenuta anche ai Medici. La vigna Solaia, di circa 20 ettari, è sulla porzione più soleggiata della collina Tignanello, tra 350 e 400 metri di altitudine. Il suolo è “ricco di fossili marini con alcune infiltrazioni di argilla. Ricca dotazione di alberese e galestro”. Le prime annate prendevano completamente spunto da Bordeaux, pur trovandosi nel cuore del Chianti Classico, nel comune di San Casciano Val di Pesa. Il sangiovese non poteva quindi che fare capolino e il Solaia 1997 ha trionfato schierando 75% di cabernet sauvignon, 20% di sangiovese e 5% di cabernet franc. Il vino sontuoso descrittoci da Wine Spectator non poteva che essere figlio di un annata baciata dal sole estivo, considerata tra le migliori del secolo.