Da Friburgo alla Lombardia. Il “resistente” johanniter

Da Friburgo alla Lombardia. Il “resistente” johanniter

Speciali ViniPlus
di Davide Gilioli
16 luglio 2023

Sviluppato in Germania nel 1968 ma ammesso alla produzione in Italia solo dal 2013, il johanniter è ad oggi uno dei vitigni PIWI più diffusi in Lombardia: ibrido discendente del riesling, unisce grande acidità a una buona struttura, con note di frutta bianca e agrumi.

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 24 Maggio 2023

Da alcuni anni gli eno-appassionati hanno cominciato a prendere dimestichezza con l’acronimo PIWI. La Lombardia, nel corso degli ultimi anni. è diventata una delle regioni più importanti dove vengono sperimentate le varietà PIWI, a partire dal johanniter, uno delle più diffuse in questa regione. In Italia sono arrivati solo alla fine degli anni Novanta, ma i vitigni PIWI (dal tedesco “Pilzwiderstandsfähige Rebsorten”, letteralmente “vitigni resistenti ai funghi”, come oidio, peronospora, muffa grigia) sono comparsi per la prima volta in Germania intorno al 1880, a seguito di studi finalizzati al contrasto della fillossera, ripresi poi dopo la seconda guerra mondiale. I principali vantaggi offerti da queste varietà - ottenute per ibridazione tra vite europea e vite americana – sono rappresentati da una netta riduzione dei trattamenti fitosanitari, il che comporta un minor impatto ambientale (sia in vigna che all’interno del prodotto stesso) e conseguentemente una riduzione costi di manutenzione del vigneto. Trentino, Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono state la prime regioni italiane in cui sono iniziati gli studi sperimentali su queste varietà, grazie in particolare alla Fondazione Edmund Mach / Istituto Agrario di S. Michele all’Adige (TN) e all’Università di Udine, che opera in collaborazione con i Vivai Cooperativi Rauscedo.

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Da alcuni anni anche in Lombardia sono attivi diversi produttori che stanno conseguendo ottimi risultati sia a livello scientifico che a livello qualitativo, con importanti riconoscimenti nazionali e internazionali. È il caso di Alessandro Sala, proprietario dell’azienda Nove Lune di Cenate Sopra in provincia di Bergamo, nonché co-fondatore e presidente dell’Associazione PIWI Lombardia, nata nel 2017. «Mi sono imposto di produrre vini di alta qualità senza danneggiare me stesso, l’ambiente e il consumatore finale» ci spiega Sala. «Questa viticoltura è qualcosa di moderno, di sostenibile: qualcosa che va oltre il biologico o il biodinamico, oltre le certificazioni. Tutto deve essere trasparente, perché la qualità non può prescindere dalla salubrità: noi tutti siamo quello che mangiamo e che beviamo». E visti i premi conseguiti dai suoi vini negli ultimi anni, si può affermare che ha raggiunto l’obiettivo.
Anche Marcel Zanolari, istrionico sperimentatore con la sua cantina a Bianzone, in provincia di Sondrio in Valtellina, oltre naturalmente a ottimi vini a base nebbiolo, sperimenta decine di varietà PIWI vinificandole in vasca, botte o anfora, tra cui un interessantissimo sauvignier gris. «Siamo abituati a bere vini che hanno decine di anni, se non secoli, di storia, di tentativi, di esperimenti. Con i PIWI abbiamo ora la possibilità di scrivere su un foglio bianco, con tutti i vantaggi e i limiti di dover sperimentare cominciando da zero. Questo significa che non basterà una vita per ottenere i risultati che abbiamo in testa, ma l’unica soluzione è provare e condividere le informazioni per migliorarci e crescere più velocemente». Dopo la visita nella sua cantina, non si è in grado di prevedere o stimare quante diverse potenziali etichette potrà produrre, ma in circolazione ci sono bottiglie con diversi anni sulle spalle che hanno trovato un equilibrio e un’espressività inimmaginabili. Insomma, come dice lo stesso Zanolari: «ci vuole pazienza!».

Johanniter: legislazione, agronomia ed enografia
Una delle varietà PIWI più diffuse sul territorio lombardo è il johanniter. Come molte delle varietà resistenti, anche il johanniter è stato sviluppato e perfezionato presso l’Istituto Statale di Viticoltura (Weinbauinstitut, “WBI”) di Friburgo, in Germania, a cavallo tra fine anni Sessanta e Settanta. Fu messo a punto dal Dr. Johanness Zimmermann (da cui il richiamo nel nome) nel 1968, ottenuto da un incrocio tra il riesling renano e, dall’altro, un ibrido catalogato sotto il nome di Freiburg 589-54 (che ha, fra i suoi vari antenati, anche il pinot grigio e lo chasselas blanc). In Italia è stato approvato e iscritto nel Registro Nazionale delle varietà di vite ammesse alla produzione solo nel 2013, su iniziativa dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Ad oggi, risulta coltivato prevalentemente in Trentino-Alto Adige, Veneto e Lombardia. Il vitigno presenta un’ottima resistenza all’oidio, buona nei confronti di botrite e peronospora, oltre che una buona resistenza al freddo e alla gelate primaverili. Può quindi essere impiegato sia in alta collina che in zone più basse, dove si verificano condizioni climatiche con estati calde e umide. Il germogliamento è medio-precoce, mentre la maturazione è generalmente regolare, con vendemmia nella seconda metà di settembre. Le rese sono piuttosto limitate, mediamente tra i 40 e 60 q/ha1. Come il suo progenitore riesling, predilige suoli poveri, a prevalenza calcarea o eventualmente sabbiosa. Il grappolo si presenta cilindrico, di media dimensione e compattezza, con acini medi, sferici, di colore giallo-verdolino e piccoli puntini bruni (caratteristica comune anche al riesling). Il frutto presenta un’elevata acidità (ereditata anch’essa dal riesling), con ottima predisposizione alla spumantizzazione.

Caratteristiche organolettiche e abbinamenti gastronomici
Inizialmente utilizzato in blend con altri vitigni PIWI come il solaris e il bronner, da qualche anno è possibile imbattersi in un numero sempre crescente di vini ottenuti da johanniter in purezza. Il colore è tendenzialmente un giallo paglierino molto luminoso, con un ventaglio di sfumature che spazia dal verdolino – nelle versioni più giovani e meno elaborate – fino a un dorato piuttosto carico nelle versioni che presentano macerazioni sulle bucce di alcuni giorni o vendemmie tardive. Dal punto di vista olfattivo, dopo un’iniziale e generalmente timida impronta floreale acidula (sambuco), presenta marcate note di frutta bianca (mela, pera) e agrumi (mandarino), chiudendo con una leggera speziatura (zenzero, pepe bianco) e richiami di erbe aromatiche. Il sorso denota spesso una tensione acido-sapida piuttosto vibrante, accompagnata da un buon corpo e una bella morbidezza fornita dalla parte alcolica e glicerica. Per quanto concerne gli abbinamenti gastronomici, stante la limitata esperienza empirica, ci si può “appoggiare” a quella già provata con il riesling. Le versioni spumantizzate si accompagnano bene a verdure e crostacei, magari fritti in tempura, mentre le versioni ferme secche abbracciano piacevolmente piatti dal gusto delicato ma dove è presente una certa grassezza o cremosità, come risotti a base di verdure, tortelli, lasagne o cannelloni verdi (ripieni con ricotta e spinaci, ad esempio) o specialità orientali a base di riso e pesce. Infine, le versioni più mature e strutturate, siano esse macerate o leggermente appassite, sono perfette con i ricchi formaggi DOP dell’arco prealpino lombardo, come un Taleggio, un Bitto o un Provolone di buona stagionatura. Non resta quindi che superare i pregiudizi (per chi ancora ne avesse), documentarsi sempre di più e, soprattutto, assaggiare più vini appartenenti a questa nuova famiglia di vitigni, sempre più presenti anche in Lombardia.