Esigente, “costoso” e grande interprete del territorio: il moscato di Scanzo

Esigente, “costoso” e grande interprete del territorio: il moscato di Scanzo

Speciali ViniPlus
di Sara Passerini
16 luglio 2023

Un vitigno, un vino, un luogo: con l’aiuto di due abili vignaioli, incontriamo il moscato di Scanzo e ci lasciamo sedurre dalla sua unicità indagandone tradizioni e prospettive

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 24 Maggio 2023

Autoctono della Lombardia, e più precisamente della provincia di Bergamo, il moscato di Scanzo è un vitigno che nasce tra il XV e il XVIII secolo dalla fecondazione di un seme di moscato bianco da parte di un’uva a bacca rossa e si è affermato sul territorio grazie all’opera dell’uomo, che l’ha scoperto, amato e diffuso. Nella bergamasca il moscato di Scanzo è il primo a germogliare e l’ultimo a maturare, è un’uva a bacca rossa dalla foglia pentalobata e dal grappolo alato e spargolo tinto da abbondante pruina. La buccia è delicata, e richiede capacità tecnica in ogni fase. «Con il moscato di Scanzo non si lascia niente al caso» ci spiega Giacomo de Toma, storico interprete di questa varietà. «Nella sfogliatura, nel maneggiare l’uva, nel selezionare i grappoli e capire quali destinare alla Docg e quali no, serve qualcuno che sia capace, appassionato, che sappia quel che fa». La vendemmia avviene dalla fine di settembre alla metà di ottobre e «l’uva dev’essere matura, ma non surmatura» gli fa eco un altro produttore di questo territorio, Vincenzo Tallarini, che ha iniziato a fare vino a metà anni ’80. In vigna c’è la prima cernita, si designano i grappoli perfetti e spargoli al nobile passito e quelli più serrati al rosso fermo.

Clicca sull'immagine per scaricare il PDFL’appassimento dura almeno ventun giorni, ma spesso assai di più: un tempo si stendevano le uve sui mattoni nei solai, oggi si comincia negli appassitoi con controllo di temperatura e umidità e un’attenta verifica della sanità dell’uva. De Toma utilizza solo acciaio, per preservarne la delicatezza aromatica e la purezza comunicativa. Tallarini, invece, predilige il legno, che considera una risorsa nel Passito, dove il disciplinare lo consente. Il moscato di Scanzo ama i terreni ben esposti, calcarei e asciutti. Nella sua terra d’elezione, il versante a sud della dorsale dei colli che sovrastano Scanzorosciate, affonda le radici in uno strato di suolo formato da argille e frammenti rocciosi che ricoprono marne calcaree. Il sas de luna è un terreno tenace, assorbe il calore di giorno e lo rilascia di notte, una terra difficile da lavorare e faticosa anche per la pianta stessa, le cui radici si trovano a dover scavare nelle profondità, ma che dona all’uva sali minerali, sostanze nutritive e permette una maggiore concentrazione dei terpeni. «Il tempo atmosferico agisce tremendamente sul risultato finale» tuona De Toma, «bombe d’acqua, siccità, temperature alte troppo presto e quindi germinatura precoce mettono a rischio la qualità, non solo dell’uva, ma della pianta». La voce di Tallarini fa da specchio: «il vitigno già di suo è poco produttivo, i rischi sono palpabili». Tutti concordano: è un’uva “costosa”, chiede esperienza, pretende l’interpretazione esatta del territorio. Contro il cambiamento climatico non ci sono soluzioni facili, «bisognerebbe agire alla base, non solo limitare i danni; per il momento, noi De Toma abbiamo deciso di puntare anche sulle uve non adatte all’appassimento, con il fermo secco e con un rosé. In cantiere c’è anche un Metodo Classico a base moscato di Scanzo”. Secondo entrambi i vignaioli la virtù del vitigno è la sua unicità: che sia passito e longevo o fresco e di pronta beva, si pregia di un racconto gusto-olfattivo antico e ben caratterizzato. Dall’elegante trasparenza del rosso ai profumi d’incenso, frutta scura, speziatura, florealità, balsamicità. Elementi sempre declinati in coerenza con evoluzione (10 anni assicurati) e terroir. Acidità e soave astringenza si esaltano, superano la dolcezza e suggeriscono di osare nell’abbinamento: sì la pasticceria, ma porte aperte a carni e formaggi.