Non solo Valtellina. Il nebbiolo in Lombardia

Non solo Valtellina. Il nebbiolo in Lombardia

Speciali ViniPlus
di Anna Basile
09 luglio 2023

In passato è stato protagonista del vigneto lombardo; oggi il nebbiolo affascina un numero sempre più alto di produttori che tentano l’impresa di coltivare questo nobile vitigno in diverse province della regione e rinverdire così una tradizione che sembrava dimenticata

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 24 Maggio 2023

I terrazzamenti ad alta quota della Valtellina, le colline dell’Oltrepò Pavese, la provincia di Varese: il nebbiolo ha trovato nel territorio lombardo una dimora accogliente, capace di esaltare le sue qualità in modi ogni volta diversi. Elegante, austero, longevo: è il vitigno nobile per antonomasia, da sempre coltivato in Valtellina, territorio che vanta due DOCG a base nebbiolo, Sforzato di Valtellina e Valtellina Superiore, negli ultimi decenni è protagonista di una riscoperta sia in Oltrepò che nel Varesotto, dove alcuni produttori hanno cominciato a impiantarlo rinverdendo la tradizione che, in passato, lo annoverava nel vigneto lombardo.

Clicca sull'immagine per scaricare il PDFQuel nebbiolo che parla di Oltrepò
«C’è sempre stato nebbiolo in Oltrepò», ci spiega Emilio Defilippi, enologo della cantina I Gessi e consigliere di Assoenologi. «La provincia di Pavia faceva parte del Regno del Piemonte e quindi i vitigni piemontesi qui erano di casa». Nel 1743, il territorio pavese fu annesso al Regno del Piemonte: questo evento portò a un cambiamento nella composizione dei vigneti lombardi, dove furono impiantati i vitigni tipici del Piemonte. Dopo l’Unità d’Italia ci fu un graduale ritorno alle precedenti varietà; poi l’arrivo delle malattie crittogamiche e della fillossera portò a un’altra variazione che favorì le varietà più resistenti e produttive. «Negli anni Quaranta, con la nascita della DOC Oltrepò Pavese, quello che restava del nebbiolo arrivato dal Piemonte fu abbandonato da quasi tutti i produttori a favore di riesling, croatina e pinot nero, uve che rientravano nella denominazione appena nata, produttive e più semplici da coltivare rispetto al nebbiolo che è esigente e richiede terreni con un’esposizione particolare e ben arieggiati – continua Defilippi –. Mio padre e mio suocero avevano già ripreso a coltivarlo e oggi, in azienda, abbiamo ridato vita a quel sogno: da circa otto anni abbiamo due ettari di nebbiolo». Il vigneto sorge sulla cresta della collina di fronte all’agriturismo di famiglia, a Oliva Gessi, a 250 metri sul livello del mare, con un’esposizione est/nord-est molto favorevole. «Dal 2016, anno della prima vendemmia, produciamo circa 6000 bottiglie di Nebbiolo 1933 ogni anno; il vigneto è giovane e preferiamo tenere la produzione bassa per garantire qualità e lavorare con la cura che ci caratterizza». Un nebbiolo che parla di Oltrepò conservando le caratteristiche tipiche del vitigno, come il tannino, il vigore e l’eleganza: «è un vino lontano dai Barolo, forse più vicino a un Barbaresco se vogliamo cercare un paragone con i piemontesi. Ma senza fare parallelismi a volte poco utili, il nostro nebbiolo si contraddistingue per il carattere piacevolmente fruttato e floreale, per i tannini vivaci e grintosi, che dopo l’affinamento in legno diventano dolci e morbidi. Abbiamo osato, sperimentando con passione e curiosità, e i nostri clienti stanno rispondendo bene a queste prime vendemmie. Cosa accadrà in futuro a questi vini, io non lo so, possiamo solo aspettare e continuare a credere nel lavoro che facciamo».

Tra le nebbie di Angera il sogno chiamato nebbiolo
Un clima dolce e temperato; la vicinanza del lago Maggiore con le sue brezze e l’azione mitigante; la composizione dei suoli fatti di terreni ciottolosi e sabbiosi: ecco un altro angolo di territorio lombardo in cui si coltiva (e si coltivava) nebbiolo. Dalle colline che sorgono tra la Rocca Borromeo e San Quirico e fino a Uppone, Taino e Sesto Calende tutto parla di vite: la zona è un ideale anello di congiuntura tra Piemonte e Valtellina e qui, qualche coraggioso viticoltore ha provato a impiantare proprio nebbiolo e credere nelle potenzialità del territorio. Il nome di Franco Berrini è ormai noto al mondo degli eno-appassionati e la sua impresa oggi può considerarsi più che riuscita: il suo Primenebbie, il nebbiolo coltivato all’ombra, o meglio tra le nebbie, della rocca di Angera, sui pianori della Cascina Piano e della Rotonda, tra le colline del sud Verbano Varesino, a 250 metri di altitudine, ha sempre più estimatori e si erge a simbolo di quella forza che nella volontà di pochi riesce a far rivivere qualcosa che sembrava ormai perduto.

Fino alla fine dell’Ottocento, la provincia di Varese era un vigneto esteso e rigoglioso che si espandeva da Busto Arsizio a Gallarate. Poi l’arrivo della fillossera anche qui ha distrutto la vite costringendo i produttori a virare verso altre forme di allevamento o verso altre attività. Lo sviluppo industriale della metà del Novecento ha avuto un incremento così intenso e crescente da azzerare quasi completamente l’interesse per l’agricoltura. Così queste terre hanno perso la tradizionale vocazione agricola a vantaggio di un’industrializzazione che ha ingurgitato spazio, energie e ingegno. In un territorio così sacrificato all’industria, Franco Berrini ha inseguito un sogno e oggi il suo Primenebbie è un nebbiolo di territorio, con una sua tipicità legata ai pendii su cui nasce. «Timo, maggiorana selvatica e finocchietto: sono le erbe aromatiche a rendere caratteristici i tratti del mio nebbiolo – ci spiega Berrino –. È un vino che matura un po’ prima, rispetto ai piemontesi, e ha tannini docili e smussati». Qualità nuove che si aggiungono al coro di voci che raccontano i mille volti del nebbiolo.

Sua maestà la chiavennasca
L’anfiteatro vitato valtellinese, incastonato tra le Alpi Orobie e le Retiche, è la regione viticola terrazzata più estesa d’Italia. L’altitudine, che oscilla tra i 300 e gli 800 metri, e la vicinanza del lago di Como creano un microclima particolare che alimenta 850 ettari di vigneto. 2500 chilometri di muretti a secco e 67 chilometri di strada panoramica terrazzata tra vigneti identificano il paesaggio valtellinese, dove da oltre mille anni si coltiva la chiavennasca, il nebbiolo delle Alpi. «Le variabili del nostro terroir sono tante: il clima fresco, la brezza (Breva) che arriva dal lago, i terreni acidi e sabbiosi, la roccia che cattura calore e poi lo rilascia lentamente, le oltre 1900 ore di sole all’anno che accarezzano il versante terrazzato. Il nebbiolo di Valtellina nasce in un ambiente eccezionale, e tutto questo patrimonio si ritrova nel vino». Marco Triacca, enologo e proprietario della cantina La Perla, dal 2009 coltiva i suoi 3 ettari a Valgella. «Il mio nebbiolo è frutto di un unico vigneto, ma la Valtellina è anche terra di cru, ed è possibile riconoscere differenze importanti da un vigneto all’altro proprio grazie alle varietà del sottosuolo, dell’altitudine e delle diverse esposizioni. Io ho tre tipologie di rosso, pur avendo un unico cru: ciò che diversifica i miei vini è il momento della raccolta delle uve. Per La Mossa, un Valtellina Superiore, l’epoca della vendemmia è metà ottobre, una vendemmia che consideriamo standard e che ci dà un vino verticale, fresco e fine. Per la Riserva Elisa, un altro Valtellina Superiore, la raccolta viene fatta a novembre ma a metà ottobre il capo a frutto viene tagliato nel momento di massima maturità, quindi c’è un leggero appassimento dell’uva in pianta. Il vino è complesso, fine e sempre fresco. Dulcis in fundo c’è il Quattro Soli, uno Sforzato: la vendemmia avviene tra fine settembre e inizio ottobre, quando gli acini non sono ancora perfettamente maturi; poi i grappoli vengono lasciati in appassimento nel fruttaio per due mesi. Il vino che assaggiamo è profondo, figlio del vento e della montagna». Non è l’affinamento o l’uso del legno a fare la differenza nei vini di Marco Triacca ma la vendemmia e la lavorazione del nebbiolo. «La natura ha posizionato il nebbiolo qui e ha impresso a queste uve un carattere inconfondibile che rende i nostri vini freschi, eleganti e longevi»