Quel nobile francese, simbolo della viticoltura lombarda: il pinot nero

Quel nobile francese, simbolo della viticoltura lombarda: il pinot nero

Speciali ViniPlus
di Gabriele Merlo
02 luglio 2023

Un vitigno enigmatico, tra le più antiche varietà addomesticate dall’uomo e dalla doppia identità: vinificato in bianco per la spumantizzazione regala vini di raffinata struttura mentre nelle sue espressioni in rosso è in grado offrire interpretazioni di straordinaria eleganza e levità

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 24 Maggio 2023

Il pinot nero è un varietà molto antica, con più di duemila anni di storia e discendente diretta della Vitis labrusca selvatica. Gli antichi scrittori romani Columella e Plinio il Vecchio descrivono nelle loro opere un’antica uva del Nord Europa con caratteristiche simili al pinot nero: si tratta del vitigno helvinium minusculum o helvolae. La culla che si ritiene abbia dato i natali a questo vitigno è la zona tra il lago di Ginevra e la Valle del Rodano. Furono poi i monaci cistercensi a diffonderlo durante il Medioevo, dapprima nel Rheingau, poi in Borgogna e infine nel resto d’Europa. Questa estrema propagazione nel corso dei secoli ha portato il pinot nero a essere conosciuto con più di trecento diversi sinonimi: pineau de Bourgogne, noirien, salvagnin, morillon, auvernat, clevner, plante doré, rouget, cortaillod, blauburgunder, spätburgunder, sono solo alcuni degli appellativi più noti. Il nome pinot è invece riconducibile alla forma dei grappoli, piccoli e dalla forma simile a una pigna, e il primo autore che cita il temine “Pynos” è il poeta Eustache Deschamps nella “Ballade de la verdure des vines” nel XIV secolo. Un ulteriore effetto della sua diffusione è stato il notevole numero di cloni, mutazioni e varietà di quest’uva che a oggi risultano essere più di un centinaio. Il pinot nero è infatti un vitigno predisposto a incorrere in mutazioni genetiche; il pinot grigio e il pinot bianco hanno sostanzialmente lo stesso profilo genetico del nero, mentre il meunier deriva da una mutazione del pinot, per questo motivo dal punto di vista genetico si preferisce citare la “Famiglia dei pinots”. Nell’ultimo ventennio la biologia molecolare ha inoltre stabilito che esiste una relazione genetica genitore-figlio tra il traminer e il pinot e che da quest’ultimo discendono i vitigni chardonnay, gamay, aligoté e melon de Bourgogne. Il pinot nero è la nona varietà vitivinicola più coltivata al mondo con 112.000 ettari nel 2015, risultando una delle uve a bacca rossa più diffuse e importanti. Grazie alla sua capacità di adattarsi ai climi più freschi, questa varietà è ampiamente coltivata in più di quaranta stati tra Europa (Francia, Germania, Italia, Svizzera, Austria) e Nuovo Mondo (Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia, Cile, Argentina, Sudafrica). Genericamente, il pinot nero cresce preferibilmente in ambienti relativamente freschi con una significativa escursione termica, presenza di terreni argillosi e con calcare attivo, caratteristiche che i territori collinari e pedemontani possono offrire; tuttavia, è anche molto sensibile ai fattori territoriali: i vini ottenuti in diverse aree e seguendo differenti procedure agronomiche ed enologiche possono essere, effettivamente, molto diversi. Uno dei più fini conoscitori italiani di questo vitigno in terra transalpina, Armando Castagno, nel suo libro “Borgogna - Le vigne della Côte d’Or”, descrive così questa sua caratteristica: “La notazione finale sul vitigno riguarda forse il suo aspetto più pertinente alla trattazione del presente volume: la capacità fuori dal comune di leggere, e rendere poi nel vino, le più microscopiche sfumature legate al terroir, fino quasi al punto di scomparire dal proscenio, lasciando trasparire il luogo di origine e assicurandogli una ideale messa a fuoco”. Tanto il pinot nero è in grado di regalare vini di estrema finezza e grazia quanto, dal punto di vista agronomico ed enologico, è un vitigno complesso, difficile per chi vuole cimentarsi nella sua coltivazione. Agronomicamente è dotato di elevata vigoria, matura precocemente, caratteristica che lo espone al rischio di gelate tardive, e, infine, è sovente soggetto ad acinellatura, peculiarità che i produttori di Borgogna sfruttano per ottenere vini più carichi di colore, struttura e tannino, pressando gli acini “nani”, poco sviluppati, con maggior buccia che polpa. La maturità ideale delle uve gioca un ruolo sostanziale per garantire la qualità nei vini prodotti con il pinot nero. Normalmente si cerca di vendemmiare con un’adeguata gradazione zuccherina, dovendo, allo stesso tempo garantire una dotazione acidica adeguata e fondamentale; la surmaturazione deve essere infatti assolutamente evitata per non svilire il patrimonio gusto-olfattivo del vino che verrà prodotto. Il pinot nero è inoltre particolarmente sensibile alle patologie virali e alle malattie fungine come peronospora, oidio e botrite, caratteristiche che non permettono una coltivazione ubiquitaria, ma solo in territori “eletti”.

Le principali peculiarità di quest’uva che devono essere tenute in considerazione durante la vinificazione in rosso sono la scarsità di polifenoli e la bassa polimerizzazione dei tannini, che devono essere gestite con un’adeguata temperatura di fermentazione e una macerazione prolungata per alcuni giorni dopo il termine fermentativo, per favorirne l’estrazione. Rimontaggi, follature e délestage sono d’obbligo per una stabilizzazione duratura del colore, essendo il pinot nero privo anche di antociani esterificati che fissano il colore. Più semplice è invece la sua vinificazione in bianco per la spumantizzazion: il basso tannino, l’elevata acidità, consistenza, finezza e resistenza all’invecchiamento, lo rendono, di fatto, l’uva rossa ideale per produrre basi spumante.

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In Europa, l’Italia è il quarto maggiore produttore di pinot nero, con più di 5000 ettari di superficie vitata e la Lombardia è la principale regione produttrice, detenendone infatti oltre la metà della superficie nazionale. In particolare è l’Oltrepò Pavese il territorio lombardo che ospita più ettari di pinot nero risultando, dopo Champagne e Borgogna, la terza area al mondo di maggiore produzione. In Oltrepò Pavese il pinot nero riesce, storicamente, a esprimere con successo le sue due anime, quella pregiata della vinificazione in rosso e quella della raffinata bollicina metodo classico in bianco e rosato. La seconda zona di maggiore coltivazione in Lombardia è la Franciacorta, dove viene utilizzato quasi esclusivamente per la spumantizzazione, storicamente in connubio con lo chardonnay, anche se il primo nome del metodo classico franciacortino fu “pinot di Franciacorta”, a sottolineare la notorietà di questo vitigno in Italia e nel mondo all’inizio degli anni Sessanta. Esistono, infine, piccoli esempi virtuosi in grado di produrre interessanti vini da pinot nero nelle Colline Lariane e a San Colombano. La storia del successo del pinot nero in Oltrepò Pavese risale al XIX secolo, i primi impianti del vitigno in terra oltrepadana risalgono alla seconda metà del 1800 a Rocca de’ Giorgi ad opera del Conte Carlo Giorgi di Vistarino che riuscì, unitamente all’imprenditore piemontese Carlo Gancia, a elaborare e commercializzare lo “Champagne italiano”, seguiti, dopo alcuni anni, da Domenico Mazza di Codevilla. La vinificazione in rosso del pinot nero in Oltrepò Pavese risale invece alla seconda metà del secolo scorso, grazie all’intraprendenza di Carlo Dezza di Montecalvo Versiggia e a Giuseppina Quaroni di Montù Beccaria, che presero spunto dalle produzioni borgognone e altoatesine. Oggi, in Oltrepò Pavese, l’importante eredità del Conte Giorgi di Vistarino è stata raccolta da Ottavia Giorgi di Vistarino, l’ultima giovane rappresentante della “Dinastia del pinot nero”. Un amore spassionato per questo vitigno nato “forzatamente” poiché quest’uva è presente in azienda da più di cinquant’anni, ma che traspare nella sua testimonianza: «La cosa che più mi affascina del pinot nero e della Borgogna è la differenza, la diversità tra vicino e vicino. Una diversità che dipende non dalla vinificazione ma dal terroir, dalla posizione, dall’altitudine, dall’aria notturna, dalla maturazione delle uve, dai cloni. Per questo motivo ho voluto vinificare separatamente i diversi cru della tenuta di Rocca de’ Giorgi. Ho voluto provare a fare dei vini che nella mia “piccola Borgogna oltrepadana” possano dare valore a questo territorio di grande qualità che è l’Oltrepò Pavese. Il pinot nero è un vitigno coltivato in tutto il mondo e in ogni paese regala un’espressione differente; e in tutti questi paesi ci può essere più di una bottiglia che ci può incredibilmente stupire e che è legata a quel particolare territorio, è il bello del pinot nero: mille espressioni!».