Dolceacqua: l’essenza del paesaggio

Dolceacqua: l’essenza del paesaggio

Territori
di Anita Croci
05 novembre 2018

Una piccola denominazione di confine dove il viaggiatore attento respira ancora echi occitani, che ha scelto una lingua, il vitigno rossese, per raccontare il proprio territorio, equilibrio sublime di asperità e dolcezza.

Pubblicato su Viniplus di Lombardia - N°15 Settembre 2018

Prima DOC della Liguria nel 1972, il Rossese di Dolceacqua è stata anche la terza denominazione d’Italia a inserire nel disciplinare le Menzioni Geografiche Aggiuntive o, come preferiscono chiamarle qui, “Nomeranze”. La centralità del connubio vitigno-territorio, essenza di tutti i grandi vini, non è sfuggita al disciplinare, che prevede si possa indicare in etichetta il solo nome Dolceacqua, seguito dall’eventuale toponimo. Una scelta finalmente recepita da molti produttori, doverosa presa di coscienza in una terra ancora agli albori di quel processo, altrove già storia secolare, di esclusivizzazione e identificazione nel proprio vino. Il vitigno rossese infatti è diffuso in tutta la provincia di Imperia fino al savonese, dove rientra nella DOC Riviera Ligure di Ponente, mentre fuori regione il Rossese bianco è esclusiva della DOC Langhe. Può quindi essere considerato autoctono della Liguria occidentale, dove giunse proveniente dalla Grecia attraverso il porto di Marsiglia: non è un caso che il solo vitigno col quale abbia strette attinenze genetiche sia il provenzale tibouren, votato però alla produzione di rosati. Se ne contano cloni diversi, anche se ormai in disparimento per la netta superiorità qualitativa di quello di Dolceacqua, così denominato perché per la descrizione ampelografica del vitigno venne scelto un esemplare che si trovava in questo comune, in località Borgonuovo.

Le terre bianche dei calanchi di TerrabiancaIl rossese è un’uva delicata, soggetta a colatura e acinellatura, dalla buccia sottile e poco pruinosa, particolarmente sensibile a malattie come oidio e peronospora; la precocità del germogliamento lo espone inoltre alle gelate primaverili, che nel secolo scorso erano assai frequenti. Non è difficile immaginare il crollo di quei tremila ettari vitati che si contavano a inizio Novecento, dietro il miraggio di una nuova economia ben più gestibile e redditizia, dalla quale la zona ha preso il nome di Riviera dei Fiori. Una parziale meteora, il florovivaismo, bruciata presto dalla concorrenza nordeuè difficile immaginare il crollo di quei tremila ettari vitati che si contavano a inizio Novecento, dietro il miraggio di una nuova economia ben più gestibile e redditizia, dalla quale la zona ha preso il nome di Riviera dei Fiori. Una parziale meteora, il florovivaismo, bruciata presto dalla concorrenza nordeuropea che, se ha lasciato fantasmi di serre a scempio di un paesaggio magnifico, ha il merito di aver portato strade, elettricità e tutti quei servizi indispensabili a dare linfa all’entroterra che languiva in un’agricoltura di sussistenza.

I dati più recenti evidenziano segni positivi per la viticoltura, ma i numeri sono ancora esigui: una trentina di produttori che si dividono circa cinquanta ettari di Dolceacqua DOC. Volumi ancorpiù di nicchia considerate le rese effettive, dove i limiti di legge sono un’utopia. Uno sguardo al paesaggio rivela la difficoltà e la peculiarità di questo territorio, dove le vigne sono incastonate tra scenari rupestri dominati da macchia mediterranea e ulivi. Muretti a secco abbracciano colline con pendenzemedie elevate, talvolta vertiginose, creando terrazze che spesso accolgono un solo filare; anche dove gli accessi sono meno impervi, la meccanizzazione resta limitata, considerata anche la forma di allevamento tradizionale del rossese: l’alberello. L’età media del vigneto raggiunge i cinquant’anni, con numerose punte ultracentenarie che ancora distillano esigui frutti, messaggi atavici di radici sprofondate chissà dove sublimati in grappoli da carezze di luce.Elemento chiave nella magia del territorio, la luce scolpisce la sacralità di un paesaggio aspro e fragile, l’estremo ponente ligure, sospeso nella sua anima mediterranea e alpina insieme. Mare e montagna si trovano uno di fronte all’altra, compressi, simbiotici e opposti; un dualismo che, ben oltre la geografia, permea la storia e il carattere delle sue genti. Brecce tra questi due mondi, la Val Nervia e la Val Verbone si sviluppano perpendicolari al mare lungo il corso degli omonimi torrenti e ospitano il cuore della denominazione, che comprende quattordici comuni, incluse le frazioni collinari di quelli costieri. Le Alpi liguri lambiscono il mare da est a ovest, determinando nello spazio di pochi chilometri un clima da mediterraneo a temperato-continentale che, insieme alla presenza attiva dei venti e alle differenti esposizioni, crea estrema variabilità tra le vigne affacciate sulla costa e quelle dell’entroterra. La varietà geologica è un altro fattore determinante: diversi tipi di flysch, marne e arenarie scistose di origine marina, localmente chiamato “sgruttu”; Conglomerati di Monte Villa, ciottoli arrotondati più o meno cementati di matrice sabbio-marnosa; Argille di Ortovero, depositi sabbio-argillosi del pliocene. Solo per citare le varianti dominanti, spesso presenti in combinazioni intermedie. Di fronte a tante variabili pedoclimatiche, la decisione di introdurre nel disciplinare le MGA risponde alla necessità di ancorare in modo più dettagliato il concetto di qualità del vino alla peculiarità del suo effettivo luogo di origine. Quelle riconosciute sono 33, non sempre rivendicate in etichetta, tanto piccole sono alcune produzioni da dover vinificare insieme vigne diverse; non hanno tra loro una gerarchia qualitativa come i cru francesi ma, allo stesso modo, riflettono una reale eterogeneità di esposizioni, suoli e microclimi, recepita dalla viticoltura locale già in tempi molto antichi. Uno studio presentato nel 2015 dallo storico del territorio Alessandro Giacobbe e da Filippo Rondelli, proprietario dell’azienda Terre Bianche, ha rilevato che a fine Ottocento nell’areale di produzione attuale fossero documentati ben 1.300 (!) toponimi legati al vigneto, con etimologie anche prelatine.

Il Dolceacqua oggi è rappresentato egregiamente da diversi produttori, compresa la cooperativa agricola, ma negli anni più difficili per il vino italiano a richiamare l’attenzione di personaggi come Soldati e Veronelli è stato il lavoro serio, faticoso e appassionato di alcuni grandi uomini. Giobatta Mandino “Cane”, scomparso nel 2016, è riconosciuto da tutti come il padre del Dolceacqua, perché fu il primo negli anni Settanta a credere fermamente nelle potenzialità del rossese. Asciutto nel fisico e nei modi, gentile nell’animo, quasi un personaggio uscito da un libro di Francesco Biamonti, vinificò per anni in una chiesa sconsacrata diproprietà della sua famiglia, a Dolceacqua. Senza dimenticare figure importanti come Mario Maccario, Claudio Rondelli, Enzo Guglielmi, Emilio Croesi, Renato Amalberti, Arnaldo Biamonti e, last but not least, Antonio Perrino “Testalonga”, vera icona del Dolceacqua oggi. La sua prima bottiglia è targata 1961, un Dolceacqua ante litteram. Da allora Nino, che dal 2015 lavora insieme alla nipote Erica, non ha cambiato il suo modo di fare vino; le restrizioni di certe etichette, le distrazioni delle mode, non lo hanno mai sfiorato. Grande qualità in vigna e massima semplicità in cantina, dove l’uva viene pigiata con i piedi, non diraspata e vinificata in botti di rovere esauste, dove fermenta e matura fino alla vendemmia successiva, quando raggiunge la bottiglia senza chiarifiche né filtrazioni, solo gli opportuni travasi e una lieve solfitazione. Un autentico vin de garage per artigianalità, numero di bottiglie e dimensioni della cantina. Il risultato? Un Dolceacqua onirico, di eleganza, carattere e coerenza estremi, capace di rivelare l’essenza di un paesaggio metafisico e assoluto che appare interiorizzato nel vino.

«ROSSESE DI DOLCEACQUA» O «DOLCEACQUA» DOC

VITIGNO: rossese, minimo 95% TIPOLOGIA Rosso; se Superiore non può essere immesso al consumo prima del 1° novembre dell’anno successivo a quello della vendemmia.

AREALE: i Comuni di Dolceacqua, Apricale, Baiardo, Camporosso, Castelvittorio, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, San Biagio della Cima e Soldano, nonché la frazione Vallecrosia Alta, del comune di Vallecrosia, e quella di Mortola Superiore, S. Bartolomeo - Carletti, Ville, Calandri, S. Lorenzo, S. Bernardo, Sant’Antonio, Sealza, Villatella, Calvo-S. Pancrazio, Torri, Verrandi e Calandria di Trucco del comune di Ventimiglia, e quella parte del territorio del comune di Vallebona che è situata sulla riva destra del torrente Borghetto. Non sono ammessi i fondovalle o altitudini maggiori dei 600 metri.

LE 33 NOMERANZE DEL DOLCEACQUA DOC

COMUNE DI CAMPOROSSO: Brunetti, Giuncheo, Migliarina, Monte Curto, Pian del Vescovo, Terrabianca

COMUNE DI DOLCEACQUA: Arcagna, Armetta, Aurin, Casiglian, Morghe, Pevereli, Pozzuolo, Rosa, Ruchin, Tramontina

COMUNE DI PERINALDO: Alpicella, Brae, Curli, Negi, Savoia

COMUNE DI SAN BIAGIO DELLA CIMA: Berna, Luvaira, Novilla, Posaù

COMUNE DI SOLDANO: Beragna, Bramusa, Ferenghé, Fulavin, Galeae, Pini

COMUNE DI VALLECROSIA: Santa Croce

COMUNE DI VENTIMIGLIA: Sette Camini

VERTICALE TESTALONGA 2004-2016

NOMERANZE | unione di Arcagna, Casigliane - fino al 2007 - Pozzuolo

VALLATA | Nervia, comune di Dolceacqua

ESPOSIZIONE VERSANTE | Est

ALTITUDINE | 320-420 m Arcagna; 170-330 m Casiglian; 420-560 m Pozzuolo

MATRICE GEOLOGICA | Flysch di Ventimiglia

2 0 0 4

Granato-aranciato vivido e trasparente. Una coltre balsamica di eucalipto, canfora e legno di cipresso schiude a note speziate di cardamomo e pepe bianco, salsedine, arabica e liquirizia; ampio ventaglio di erbe aromatiche; gelsomino, lavanda, agrume e piccoli frutti rossi macerati. Scintillante il sorso, di sferzante salinità, che si distende sulla rotondità del tannino finissimo e rilancia lungamente tutta la componente aromatica.

2 0 0 5

Granato-aranciato, profondo e luminoso. In evidenza la componente fruttata di arancia amara e chutney di fragole speziate insieme alla moltitudine di erbe aromatiche; poi fiori bianchi dolci, tabacco biondo, tè nero e resina di pino. L’ingresso è sapido e dolcemente fruttato, di media freschezza, con ritorni pacati di liquirizia e caffè.

2 0 0 6 magnum

Aranciato, discreta trasparenza. Trementina, canfora, menta piperita, cappero, tabacco e curcuma; aromatiche, fiori secchi, sesamo e mandorla. Una nota acetica confonde il tutto e marca anche la bocca, che tradisce stanchezza e chiude con sentori di tisana alle erbe.

2 0 0 7

Granato intenso, lieve velatura. Mora di gelso e melograno; oliva al forno, ginepro, erbe aromatiche; eucalipto, humus di foglie, note ematiche. Strutturato, più sferico che sapido. Compresso. Domina la frutta con ritorno di umami e karkadè. Ultima annata a ospitare le uve della vigna di Pozzuolo.

2 0 0 9

Granato brillante. Vivace e intenso l’impatto fruttato di ciliegia matura e clementina; una sfilata di erbe aromatiche, succo di pomodoro, carruba, pepe rosa, legno di sandalo, glicine, rosa rossa e sbuffi iodati. Deciso, pieno e caldo il sorso, che riporta potente un’eco fruttata di ciliegia sotto spirito, rosa rossa e ibisco; saporito e dolce il bel tannino di buccia. Estivo e mediterraneo.

2 0 1 1

Rubino, lievi riflessi granato. Il bouquet è una declinazione croccante del colore rosso: arancia sanguigna, rosa, the, pepe, rossetto; contornati dalle consuete erbe aromatiche, noce moscata, macchia mediterranea, tabacco dolce. Caldo e sapido, morbido e di struttura. Eccellente la corrispondenza che riporta echi di pomodoro secco e origano.

2 0 1 3

Rubino lucente. Mora di gelso, ribes e melagrana; canfora, fieno, eucalipto, resina e legno di cipresso. Bocca di spessore, un po’ frenata da un tannino che presenta qualche asperità. Annata fresca, forte acinellatura dei grappoli, che ha spinto a utilizzare solo il 30% dei raspi.

2 0 1 5

Rubino fitto e luminoso. Rosa canina, tiglio e caprifoglio; evidenti l’agrume e le erbe aromatiche, tra le quali spicca la menta. Ancora canfora e resina. Eleganza e freschezza incastonano un tannino brillante di peso e precisione. L’agrume ritorna con echi di anice stellato a sancirne l’animo nobile, ancora non del tutto svelato. Prima annata prodotta a quattro mani.

2 0 1 6

Rubino vivace e concentrato. Croccante al naso. Pêche de vigne, visciola, arancia amara; magnolia e iris; erbe aromatiche di menta, maggiorana, timo; melissa, ruta e rabarbaro; cardamomo, tè matcha e pepe bianco. Asciutto, di grande freschezza, progressione e persistenza. Giovane e molto promettente.