La Costa d’Amalfi, patrimonio d’infinita bellezza

La Costa d’Amalfi, patrimonio d’infinita bellezza

Territori
di Anita Croci
21 gennaio 2023

Bellezza, ovunque. Lo straordinario scenario naturale e architettonico fa da cornice a una grande tradizione culturale e a una produzione agroalimentare di pregio. La peculiarità di quella vitivinicola è il patrimonio dei vitigni locali, la cui sapiente combinazione restituisce una sintesi del territorio: vini “capaci di buttarti dentro tutto il sole e tutta l’allegria che hai sulla pelle”.

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022

IL TERRITORIO
La Costiera Amalfitana è il versante meridionale della Penisola Sorrentina, che separa il Golfo di Napoli da quello di Salerno. Si estende da Punta Campanella a Vietri sul Mare, in uno scenario di straordinaria bellezza che nel 1997 l’UNESCO ha voluto Patrimonio dell’Umanità, a tutela di un contesto ambientale e architettonico unico al mondo. La natura ha di certo fatto la sua parte, con la catena dei Monti Lattari che percorre la penisola per tutta la sua lunghezza e precipita nel blu in un susseguirsi di insenature e grotte, tratteggiando una costa frastagliata che affaccia su isolotti e scogli; ma anche l’uomo ha contribuito, disegnando paesaggi pittoreschi fatti di borghi verticali, bianchi o colorati, che lambiscono più o meno il mare, ma sempre arroccati sulle pendici scoscese dei monti, dove affacciano edifici sacri di maestosa o timida bellezza accanto a dimore storiche, dagli splendidi giardini e panorami infiniti. Un paesaggio di merletti intrecciati al fianco delle montagne: è l’anarchica geometria dei terrazzamenti, che determinano la gestione dello spazio non solo per le coltivazioni, ma anche dei giardini pensili e degli stessi centri abitati. Un territorio che ha conservato importanti tradizioni, dalla cucina alle festività e alle cerimonie, soprattutto di carattere religioso. La cristianità infatti è enormemente presente, non solo fisicamente nelle famose chiese, ma anche nei miti e leggende di cui è intrisa la cultura popolare. Come il Monte Pertuso, che prende il nome dal caratteristico buco nella roccia, opera della Vergine, o il Ponte del Diavolo, costruito dal maligno che ne pretese in cambio l’anima del primo che lo avrebbe attraversato, ma fu ingannato da un cane. O l’etimologia di Positano, che deriverebbe da “posa, posa!”, che la statua della Madonna nera avrebbe intimato agli infedeli che la stavano portando via; fu così lasciata sulla spiaggia, dove venne edificata la chiesa di Santa Maria Assunta che tuttora la ospita. O ancora, le macchie rosse sugli scogli nel Fiordo di Furore, dal sangue dalla statua di Sant’Elia, gettata dalla scogliera perché il santo non era stato in grado di fermare l’ennesimo cataclisma.

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UN PO’ DI STORIA
Greci, Fenici, Etruschi e Romani; poi Vandali, Unni, Goti e Longobardi. Fu sotto la protezione del ducato bizantino di Napoli che Amalfi iniziò la propria ascesa commerciale, politica e militare. Si proclamò Repubblica nel 839, comprendendo un territorio più vasto dell’attuale Costiera. In meno di due secoli divenne la prima potenza dell’Alto Tirreno, magnificata dai contemporanei per ricchezza e per l’abilità di esportare e importare ogni tipo di commercio. A segnarne il declino fu la dominazione normanna sull’Italia meridionale. Gli Angiò cacciarono gli Svevi e proclamarono il Regno di Napoli, ma il continuo avvicendarsi del potere portò solo miseria. Nel Settecento, quando sul trono napoletano salirono i Borboni, ripresero le attività produttive e i traffici marittimi diretti a nord con agrumi, pasta, carta e tessuti. La svolta però avvenne con il turismo, quando la bellezza inviolata della Costiera fu scoperta dai viaggiatori romantici ottocenteschi, che la portarono al centro della vita culturale e artistica europea, mettendo le basi per quella che sarebbe diventata una tra le mete più ambite dal jet set mondiale del Secondo Dopoguerra.

IL SISTEMA AGRICOLO
Una zona che prima di essere baciata dal turismo ha sofferto però fame e miseria, che hanno portato in molti a emigrare. Per il popolo, infatti, la sussistenza era un mix di ingegno e fatica. Accanto al Fiordo di Furore c’è il Sentiero della Volpe Pescatrice, che collega la spiaggia alla frazione di Sant’Elia; un dislivello di oltre 200 metri, che i contadini-pescatori percorrevano quotidianamente, in quanto di giorno lavoravano la terra e la sera andavano per mare: l‘immagine della volpe pescatrice racchiude l’essenza degli abitanti della Costiera, costretti dalla sopravvivenza a una doppia anima, terrena e marina. Se la mitezza del clima costiero favorisce le coltivazioni - di cui lo “sfusato amalfitano”, il famoso limone IGP, è l’emblema storico - l’orografia scoscesa della Costiera Amalfitana non ne aiuta certo i volumi. Il terrazzamento è la sola forma di dialogo agricolo con la montagna: larghi in media non più di cinque metri e riempiti di terra, poca e magra, trasportata a spalla, ospitano pochissimi filari a pergola sostenuti da pali di castagno, a cui si intrecciano limoni o uva. La vite veniva piantata tra le pietre della macèra (il muro a secco) per massimizzare lo spazio a terra, dedicato agli ortaggi di stagione. Il sistema dei terrazzamenti permetteva l’utilizzo per gravità delle acque, che venivano intercettate in altura e indirizzate, attraverso scalette e vasche di raccolta, verso i ripiani successivi. Con un doppio vantaggio: conservare nel terreno l’umidità anche nei lunghi periodi siccitosi e stabilizzare il versante evitando frane, per questo la loro conservazione riveste un ruolo più ampio di quello agricolo.

LA DENOMINAZIONE
Costa d’Amalfi è una Doc della provincia di Salerno che comprende vini bianchi, anche nella tipologia passito e spumante, rossi, anche nella tipologia passito e riserva, e rosati. La denominazione ha saputo recepire e tutelare la complessità e le peculiarità del patrimonio viticolo locale, disciplinando per i vini Doc una base ampelografica che, soprattutto per le sottozone, prevede il contributo di uve esclusive del territorio amalfitano, di recente riconoscimento ministeriale e ancora oggetto di studi scientifici. È il loro insieme, la capacità del vignaiolo di comporne le caratteristiche in percentuali variabili a seconda dell’andamento stagionale, a caratterizzare i vini della Costa d’Amalfi. L’areale della denominazione abbraccia 13 comuni tra il mare e l’entroterra. Include vigneti collinari, di buona esposizione e altitudine non superiore ai 650 metri. Identifica tre sottozone: Ravello, Tramonti e Furore, che prendono ciascuna il nome dal comune di riferimento, per quanto non esclusivo: anche Scala, Minori e Atrani concorrono al Ravello; Maiori al Tramonti; Praiano, Conca dei Marini e Amalfi al Furore. Ravello, “città della musica”, delle splendide Villa Rufolo e Villa Cimbrone che dominano il panorama su Maiori e Minori, non differisce nella base ampelografica dei vini dal disciplinare del Costa d’Amalfi: prevede infatti vigneti che, nell’ambito aziendale, siano composti per i vini bianchi da falanghina e/o biancolella min. 40% e altri vitigni a bacca bianca non aromatici idonei alla coltivazione per la provincia di Salerno fino al 60%; per i vini rossi e rosati, piedirosso min. 40 %, sciascinoso e/o aglianico congiuntamente o disgiuntamente fino al 60 % e altri vitigni a bacca nera non aromatici idonei alla coltivazione per la provincia di Salerno fino al 40%. Furore, il “paese dipinto” è una cascata di piccole case, ulivi e viti, che in un turbine di tornanti scorre dalla parete montuosa verso il mare dell’omonimo fiordo, tra agave, fichi d’india e carrubi secolari. Il nome gli viene dal fragore del mare che si dibatte nel fiordo. È il vino bianco più famoso della Costiera, l’unico cui il disciplinare imponga una presenza massiccia (tra il 40 e il 60%) dei vitigni pepella, ripoli, fenile e ginestra, coltivati esclusivamente nell’amalfitano. Tramonti prende il nome dalla sua configurazione morfologica, ovvero “intra montes”, e include tredici frazioni sparse tra le colline dei Lattari, tra chiese e rovine di antichi castelli. Dove il mare è un’eco di sfondo, è il bosco a dominare il paesaggio e anche il clima è più rigido rispetto alla costa: gli amalfitani, inventori della Rosa dei Venti, chiamarono Tramontana il vento freddo del nord proprio perché arrivava direttamente da queste valli strette tra i monti. Per fregiarsi della sottozona, il disciplinare stabilisce espressamente una quota minima del 20% del vitigno a bacca rossa locale: il tintore.

I VITIGNI
Accanto a nomi famigliari come aglianico e falanghina -il vitigno più diffuso nel Sud Italia il primo, protagonista dei vini bianchi campani la seconda- troviamo quindi varietà meno note, come il biancolella, uva antica e circoscritta ai confini regionali, caratterizzante soprattutto della produzione vinicola ischitana ma presente anche a Capri, Sorrento e, appunto, in Costiera Amalfitana. Trova un habitat ideale nelle zone costiere siccitose, su terreni sciolti e di matrice vulcanica, dove esige forme di allevamento basse e a potatura corta. Non esprime grandi acidità né livelli zuccherini importanti da conferire tenore alcolico, ma si fa apprezzare per l’intensità dei profumi, caratteristici anche nell’evoluzione. Le uve a bacca bianca strettamente locali - pepella, ripoli, fenile e ginestra - si trovano tradizionalmente in complantazione nei vecchi vigneti a pergola, che offrono ancora molti vecchi esemplari non intaccati dalla fillossera e quindi a piede franco. Il nome pepella è legato agli esiti di una fioritura non sempre perfetta che comporta nel grappolo la presenza, accanto ad acini normali, di altri piccoli, appunto, come un granello di pepe. Di scarse fertilità, produttività e resistenza alle malattie, salvo la botrite cui oppone il grappolo spargolo e la buccia resistente. Il ripoli o ripolo, coltivato in particolare a Furore, Amalfi e Positano, ha caratteristiche morfologiche e comportamentali a tratti simili al pepella: occasionalmente acinellato e di produzione ridotta e poco costante, salvo nella buccia che qui è sottile. Apporta anch’esso al vino acidità contenuta; significativo invece il potenziale alcolico e tipici i sentori di frutta esotica e dolce, con un’interessante propensione a sviluppare note minerali nell’invecchiamento. Il fenile deve il proprio nome al fieno, dal colore biondo dorato degli acini. Matura un po’ prima, ma essendo mischiato agli altri vitigni non gli veniva riservata una vendemmia separata; raccolto quindi un po’ più maturo, apporta al mosto un buon grado zuccherino e struttura, senza difettare in acidità; i profumi invece sono piuttosto neutri. Non così il ginestra, che mutua il proprio nome appunto dagli intensi profumi floreali della pianta arbustiva. Un’uva che nell’Ottocento veniva spesso accostata alla falanghina, mentre oggi è certo che non abbiano affinità. È diffuso in numerosi comuni dell’areale costiero, con i nomi di biancazita a Positano e biancatenera a Scala. All’uvaggio apporta freschezza e sentori aromatici caratteristici soprattutto nell’evoluzione minerale. Tra le uve rosse, il piedirosso (o per’e palummo, dal rosso dei pedicelli degli acini che richiama il colore della zampa dei colombi) è tra i vitigni campani più antichi e rappresentativi, in particolare del napoletano. Irrinunciabile anche nell’uvaggio del Costa d’Amalfi, dove con la sua generosità zuccherina, la modesta acidità e le gradevoli morbidezze ben si combina alle altre uve rosse, calmierando la struttura tannica e l’acidità tartarica dell’aglianico, ma anche le doti di freschezza e acidula fruttuosità tipiche dello sciascinoso: un vitigno allevato in tutta la Campania, dagli acini grandi e scarsamente ricchi di concentrazione, che trova la sua denominazione eletta nel vesuviano Lacryma Christi, ma si rivela un grande complementare anche per i rossi e rosati della Costiera e nei frizzanti sorrentini. Discorso diverso per il tintore, che ha invece territorio eletto sulle colline di Tramonti. Conferisce intensità cromatica, alcolica ed estrattiva, con acidità discreta e tannini morbidi. Le vecchie vigne, a pergola o a raggiera, sono spesso a piede franco e danno frutti spargoli, con piccoli acini neri e una polpa, come suggerisce il nome, ricca di antociani.