La Valtellina e le cantine ipogee: il vino nella roccia
Territori
di Sara Missaglia
21 gennaio 2023
La leggenda racconta che Artù, cresciuto da Mago Merlino, diventò re di Britannia solo dopo essere riuscito a estrarre la famosa spada nella roccia: il vino nella roccia in Valtellina non è leggenda ma realtà
Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022
Quando si pensa a un mondo sotterraneo la mente viaggia subito in direzione Trentino, verso la Val di Non e la Val di Sole, dove le celle ipogee scavate nel cuore della montagna consentono la frigo-conservazione delle mele. La Valtellina e la sua viticoltura ci portano invece a un mondo in verticale fatto di luce: le vette superano i 3500 metri di quota, neve su cielo blu, con pendenze che arrivano fino al 60%. Illuminazione, ventilazione, escursioni termiche, clima siccitoso con un numero di ore di sole in media sovrapponibile a quello di Pantelleria: condizioni uniche per vini che esprimono eccellenza nell’adesione al territorio. Ma se esiste un “sopra”, in Valtellina c’è anche un “sotto”, che trova nella cantina ipogea un universo in grado di trasferire al vino ciò che appartiene al terroir: strutture e ambienti sotterranei e green, in ottica di sostenibilità e integrazione con l’ambiente. Cantine ricavate dalla roccia che consentono di valorizzare il territorio da un altro punto di vista, quello più nascosto, al di sotto della superficie. Biodiversità all’ennesima potenza che tiene conto anche dell’essenza della terra, dove natura e uomo risultano alla fine con-fusi: un unicum all’interno di un ecosistema che vede il vigneto nutrirsi costantemente dal mondo sotterraneo, che in cambio entra in contatto con l’aria e riceve i benefici del sole. Essenza della luce e mistica della terra, dove l’uomo è protagonista del lavoro manuale e della trasformazione dei frutti che l’ambiente è in grado di generare. Tanti sono i vantaggi della cantina ipogea: in primo luogo un risparmio energetico importante sia per il controllo sia per il mantenimento delle condizioni di umidità e di temperatura: terreno e roccia sono infatti dotati di una capacità termica elevata e a bassa conduzione, in grado di assicurare nelle quattro stagioni una temperatura idonea alla conservazione, alla maturazione e all’affinamento del vino. La copertura della cantina è rappresentata inoltre dai vigneti: un tetto verde che non solo valorizza la bellezza del paesaggio ma contribuisce al mantenimento in cantina di una temperatura più bassa rispetto ad altre coperture tradizionali, in particolare durante l’estate. La presenza di vigneti e roccia consente inoltre di drenare al meglio le acque grazie anche alla componente sabbiosa dei suoli contribuendo così al raggiungimento di un equilibrio idrogeologico importante per la montagna e in grado di arginare possibili smottamenti del terreno: uno scrigno perfetto dove proteggere il “tesoro”, riparato da infiltrazioni e intemperie esterne, sinergico con il paesaggio in quanto si adatta e segue il profilo della montagna.
Nella Sassella troviamo ad esempio la suggestiva cantina di Bruno Leusciatti: una cantina ipogea nel cuore di Sondrio che Bruno, giunto ormai alla terza generazione di viticoltori, utilizza per la fermentazione, la maturazione e l’affinamento del vino: le botti di castagno e le bottiglie sono a stretto contatto con la roccia, che al tatto rivela umidità, così come nella pavimentazione. La cantina è interamente scavata nella roccia, con temperature durante l’inverno tra gli 11 e i 12 gradi (quando fuori si registra una temperatura di 5 gradi sotto lo zero termico) e in estate tra i 22-23 gradi, una decina in meno rispetto all’esterno. Fu il nonno Guglielmo nel 1935, al rientro dall’Australia dove era andato a cercare fortuna, a costruire da esperto minatore la parte più storica della cantina ricavandola dalla roccia, esattamente a ridosso della casa di famiglia: in cantina sono storia e passione che si respirano, e Bruno lì conserva gelosamente le bottiglie storiche prodotte dal 1977 fino ad oggi. La porzione della cantina dove si trovano le vasche in acciaio è stata invece costruita una trentina di anni fa da Bruno e da suo padre. «Durante l’inverno le temperature scendono drasticamente, e ho dovuto dotarmi di un piccolo impianto di riscaldamento per garantire le corrette temperature alle fermentazioni. Una volta questo non era necessario in quanto il freddo in cantina era naturalmente mitigato dalla presenza nei locali antistanti della stalla, con il bestiame al riparo», ci racconta Bruno, che prosegue: «i visitatori in genere rimangono senza parole quando organizzo le visite in cantina: è come entrare nelle profondità della terra». Sopra la cantina si trovano i vigneti di via Valeriana a Sondrio, con l’età media delle viti di oltre sessant’anni e l’impianto della teleferica che consente di portare l’uva vendemmiata dai terrazzamenti scoscesi della Sassella direttamente in cantina.
Nella sottozona Grumello del Valtellina Superiore ha sede la cantina Ar.Pe.Pe.: da oltre 150 anni la famiglia Pelizzatti Perego alleva nebbiolo di montagna. La cantina affonda le sue radici nel 1860, ma la data di svolta è il 1984, quando Arturo Pelizzatti Perego, papà di Isabella, Emanuele e Guido che oggi sono a capo dell'azienda, traccia una nuova via e rientra in possesso dei vigneti e degli spazi che oggi sono il cuore pulsante del quartier generale di questa importante realtà. Alla fine degli anni ‘60 gli spazi della storica cantina in Scarpatetti, nel cuore della parte più antica di Sondrio, non consentivano più di muoversi agevolmente e lo spazio per il lungo affinamento non era sufficiente: da qui l’idea nuova (e vin- cente) di spostare fuori Sondrio gli spazi di lavorazione in un’area suggestiva come il basso Grumello, dedicando la porzione ipogea esclusivamente all’affinamento. La cantina ipogea è stata costruita nel 1973 su progetto del nonno Guido e di papà Arturo, e realizzata stadallo zio materno Bruno Massera, in una ideale unione della quarta generazione paterna e materna. L’idea di creare una cantina perfettamente mimetizzata nel territorio non solo avrebbe dato continuità alle pietre dei muretti a secco e ai vari dislivelli, ma avrebbe rafforzato la percezione del paesaggio vitato e ridotto sensibilmente costi e tempi di trasporto, consentendo all’uva vendemmiata di arrivare in cantina in tempi brevissimi, mantenendo tutte le caratteristiche organolettiche ideali per una vinificazione di elevata qualità. «Fu un’opera fortemente innovativa per l’epoca», racconta Emanuele Pelizzatti Perego, «il terreno era molto limaccioso, e si dovettero utilizzare dei micropali di consolidamento. Si scavò sotto la montagna il più possibile, fino a incontrare quella roccia che entra letteralmente nella cantina. Il terreno spostato venne utilizzato per realizzare la copertura, che ospitò le viti “più basse” del Grumello, proprio sopra l’ingresso». Oggi la struttura, dove le temperature variano mediamente dai 10 ai 18 gradi, «rappresenta un vantaggio sia economico sia sociale», prosegue Emanuele, «grazie alla possibilità di mantenere le corrette temperature senza attingere ad altre fonti energetiche. Nei periodi tardo autunnali la temperatura non scende troppo e favorisce l’innesco spontaneo delle fermentazioni, mentre nel periodo estivo la bassa temperatura aiuta la corretta conservazione dei vini». E se la profondità è importante, anche la copertura non è da meno, ce lo racconta sempre Emanuele: «sicuramente il tetto verde contribuisce al mantenimento dell’inerzia termica: sopra la cantina ci sono circa 40-50 cm di terreno, un buon compromesso per gestire la vigna e avere un discreto isolamento, aiutato anche dal fogliame delle piante che riduce l’irraggiamento sul terreno. Il contributo maggiore arriva dal terreno sottostante: la falda freatica che scorre pochi metri sotto il pavimento contribuisce notevolmente a raffrescarlo. È come avere una grande piastra radiante. Le intercapedini lungo la parete contro la montagna contribuiscono, attraverso le bocche di lupo poste sulla copertura, all’espulsione dell’aria attraverso l’effetto “camino”. Isabella con orgoglio afferma che il carattere di freschezza e grande mineralità che viene attribuito ai loro vini in qualche modo racconta la montagna da cui provengono: «la cantina genera grande stupore e meraviglia per un’opera che non ci si aspetta di così grandi dimensioni arrivando dall’esterno: la cantina immaginata e voluta dal papà precorreva i tempi, anticipando le tematiche di sostenibilità ed eco compatibilità oggi così importanti».
Parlando di cantine ipogee non potevamo non citare il Crotto storico lʼazienda di Mamete Prevostini a Mese, in Valchiavenna: la cantina, che oggi conta circa 30 ettari vitati, è stata fondata nel 1996, ma i nonni di Mamete già all’inizio del secolo scorso diedero vita ad un agriturismo ante litteram dove cibo e vino erano quelli locali. I Crotti sono cavità naturali costituite da rocce, all’interno delle quali soffia un vento, il sorel, che determina temperature molto fresche e umidità costante. Nel crotto di Mese Mamete conserva le bottiglie storiche, quelle delle sue annate migliori: un tesoro dove il tempo sembra essersi fermato, e dove anche in estate è necessario indossare una giacca per ripararsi dal freddo. Il crotto risale al 1767, anno in cui è stato costruito, e ha una temperatura costante quasi tutto l’anno, con una variazione dai 12 ai 15 gradi. L’umidità è costante ma può subire variazioni in relazione alle precipitazioni. «Queste condizioni naturali sono ideali per la conservazione di cibo e vino, tanto che anticamente il crotto era un vero e proprio frigorifero. I miei nonni ci conservavano il vino e i salumi che producevano», racconta Mamete. «Per chi viene a visitare il crotto», prosegue, «è sempre un’esperienza emozionante, quasi assimilabile a una sensazione primordiale, atavica che colpisce i sensi. Le rocce inumidite dall’acqua piovana, essere avvolti dalla freschezza del vento che arriva direttamente dal cuore della montagna, il buio e il silenzio sicuramente si imprimono nella memoria del visitatore. E tutto questo è frutto solo della natura: probabilmente è questa la vera magia che rimane nel cuore». Il Crotto storico a Mese è stata per Mamete l’ispirazione per la creazione a Postalesio, vicino a Sondrio, di CasaClima Wine: si tratta di una sorta di crotto in versione 2.0, una moderna cantina di vinificazione, maturazione e affinamento che, in chiave moderna e tecnologica, ha ripreso e applicato i criteri di sostenibilità, di risparmio energetico e di rispetto dell’ambiente già sperimentati nell’antichità: la cantina è stata progettata per lavorare l’uva a caduta naturale su tre piani, per una superficie totale di 3000 metri quadrati: al piano superiore avvengono l’appassimento e la pigiatura dell’uva, al piano intermedio la fermentazione e al piano interrato l’affinamento dei vini. «È così efficiente che si può raffreddare con un cubetto di ghiaccio e riscaldare con un fiammifero. Non è una cosa che si spiega facilmente ma posso dire che si percepisce e fa vivere meglio», precisa Mamete.
Una Valtellina fatta di storia ma anche di importanti novità e investimenti, a partire da una piccola vigna di proprietà della famiglia: Davide Bettini, imprenditore valtellinese nel settore dell’edilizia, nel 2020 inizia i lavori di una nuova cantina in località Ponchiera, alle spalle di Sondrio a circa 450 metri di quota. I Vitari, questo il nome che ha origine da un toponimo: un progetto prima disegnato sulla carta e poi caparbiamente realizzato, dopo sei anni di disbrighi amministrativi. Davide vuole una cantina totalmente ipogea, scavata nella montagna e nella roccia, che oggi appare perfettamente integrata nel paesaggio che circonda la porzione di costa: per la sua realizzazione sono stati estratti 10.000 metri cubi di terra, e dalla base della cantina si entra in orizzontale nella montagna per 26 metri prima di incontrare terra e roccia sul fondo. Un unico piano di 900 metri quadrati, cui si sommano due saloni di circa 300 mq ai piani superiori: «la realizzazione è stata complessa», racconta Davide, «prima abbiamo portato via 10.000 metri cubi di terra e poi ne abbiamo riportati 4.000, perché una volta costruita la cantina andava ricolmato il perimetro. Una parte della terra verrà utilizzata per la copertura in superficie, mentre il resto è stata impiegato per costipare i muri nel lato a ridosso della montagna». L’esterno è realizzato con le pietre emerse dallo scavo, testimonianza della presenza di antiche vigne nella zona e ideale estensione dei terrazzamenti che caratterizzano l’intero territorio valtellinese e regalano armonia al profilo della costa. La cantina ha una profondità di circa 20 metri, e ai locali sotterranei arriva anche la luce naturale grazie a oblò di grande impatto visivo, enormi cerchi d’unione anche spirituale tra terra e cielo. «Le temperature all’interno della cantina sono mediamente di 13-14 gradi, e non superano mai i 18-19 gradi con umidità costante anche nei periodi più caldi», prosegue Davide: «ancora da ultimare la copertura, che sarà rigorosamente a vigneto: reimpianterò nebbiolo per circa 5.000 metri di vigna con uno strato di terra che va da circa 1 metro fino a 1,80 nella massima altezza tra platea e muro». Davide ha chiesto a Giuseppe Gorelli, maestro del Brunello di Montalcino, di occuparsi del suo nebbiolo. «ho sempre avuto un’ambizione, quella di realizzare vini di alta qualità. Mi sono detto che se Giuseppe è riuscito a dare morbidezza e eleganza al sangiovese, venendo in Valtellina avrebbe trovato terreno idoneo per le grandi sfide». Da qui le prime 12.000 bottiglie di Valtellina Superiore Grumello e di Riserva da 2,5 ettari di vigna. Nel 2023 è prevista anche l’uscita di un Rosso di Valtellina da uve provenienti dalla località Somasassa nella Valgella, altra sottozona del territorio. «Non ho ancora iniziato a fare visite e degustazioni, spero presto di poter chiudere il cantiere: ho avuto modo di accogliere alcuni stranieri in visita che sono rimasti senza parole varcando la soglia di ingresso. L’idea è di realizzare percorsi degustativi anche in partnership con alcuni ristoratori locali, e di far conoscere i miei vini nell’ambiente dove nascono».