Vita da Winemaker. Emiliano Rossi

Vita da Winemaker. Emiliano Rossi

Vita da Winemaker
di Giordana Talamona
06 novembre 2013

Emiliano Rossi, bresciano, lavora per molte aziende della Lombardia, del Friuli e del Lazio. «La mia migliore intuizione? – dice – Aver capito che lavare l’uva prima della pigiatura, permette fermentazioni più stabili, naturali e rispettose delle varietà utilizzate». Scopriamo di che cosa si tratta.

Tratto da Viniplus di Lombardia N°5 Settembre 2013

Emiliano Rossi

Cosa significa essere oggi un enologo?

Significa rivestire un ruolo importante in un’azienda, con l’obiettivo di percepire e realizzare le esigenze di uno strano datore di lavoro: il terroir. È infatti molto meglio rimanere legati a ciò che il territorio dice, piuttosto che alle aziende, tanto più oggi che i cambiamenti ai vertici delle imprese sono repentini.

Trova che questo ruolo abbia assunto un significato diverso rispetto al passato?

Sì, perché oggi affrontiamo il lavoro accettando il territorio e quello che può darci, senza cercare di produrre vini identici, azienda per azienda. Questo è il merito e la fortuna di questo periodo.

Qual è la sua filosofia produttiva?

Cerco di fare assomigliare il vino al carattere della famiglia che lo produce. Trovo che sia una strategia fondamentale per far esprimere al vino tutta la sua forza, per essere credibile e farlo percepire come unico. Per questo, prima di accettare una consulenza, cerco di capire e conoscere le persone con cui avrò a che fare. Da lì, avendo come base il terroir, cerco di studiare un profilo di vini che possa essere vicino al loro carattere.

C’è qualcosa che si rimprovera come enologo?

Di non poter dedicare molto tempo agli incontri e confronti con altri colleghi, in particolare quelli che hanno posto le basi dell’enologia moderna. Loro hanno già interpretato il territorio molto bene, a noi non rimane che portare avanti, con le tecniche e la scienza di oggi, quel percorso empirico iniziato nel passato.

Sta pensando a qualcuno in particolare?

All’amico Mario Maffi, uno dei miei enologi di riferimento. Ogni anno ci promettiamo di incontrarci per condividere esperienze, risultati ed eccellenze prodotte, poi purtroppo gli impegni ce lo impediscono.

Come enologo qual è stata la sua migliore intuizione?

Sto applicando una tecnica che avevo già studiato alla Scuola di Conegliano, negli anni Novanta. Mi sono sempre chiesto perché l’uva, al contrario di quanto succeda per tutta l’altra frutta, non venga lavata prima della pigiatura. Ebbene, grazie a un progetto sperimentale, e alla fiducia di un’azienda, sono riuscito ad applicare questa tecnica. È stato entusiasmante scoprire quali risultati avrebbe potuto dare.

Quali sono?

Lavando l’uva si eliminano degli interferenti che nella fermentazione possono interagire col lievito. Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto delle prove utilizzando sia dei lieviti autoctoni che selezionati. Complessivamente abbiamo capito che lavando l’uva partono delle fermentazioni più naturali, stabili e regolari.

Territorio e vitigno, chi ha maggiore influenza?

Il territorio, come abbiamo potuto verificare attraverso delle sperimentazioni effettuate grazie alla collaborazione di Regione Lombardia. Gli studi ci dicono che l’impatto del territorio influenza soprattutto i vitigni autoctoni, un po’ meno quelli internazionali.

Come stanno impattando i cambiamenti climatici sulla viticoltura?

Credo che per parlare di cambiamenti climatici, quindi capirne l’impatto sulla viticoltura, occorrerà attendere ancora del tempo. Ad oggi abbiamo delle variazioni stagionali piuttosto repentine che stanno impattando molto sui vigneti, più che sui vitigni. I vigneti giovani soffrono molto di questi sbalzi di temperatura, mentre i vigneti storici, con un radicamento di chilometri sotto terra, sopportano meglio queste variazioni. Anche per queste ragioni credo che il cambiamento viticolo italiano sia stato troppo rapido.

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