Bordeaux alla prova del XXI secolo. La capitale mondiale del vino cerca una nuova pelle
Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
12 dicembre 2025
I vini di bassa gamma falcidiati dai consumi in crisi, i più blasonati sul filo di una speculazione finanziaria ormai scoppiata, il gusto che volta le spalle ai rossi estrattivi e l'agronomia provata dal cambiamento climatico. Ecco come sta reagendo Bordeaux
Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 29 Novembre 2025
I tempi in cui Bordeaux spadroneggiava nel mondo del vino sono finiti. Almeno per ora. Il principale areale vitivinicolo di Francia fa i conti con una crisi proteiforme e multifattoriale. Questa impasse divenuta strutturale riflette bene le difficoltà che il mondo di Bacco sta attraversando ovunque e che in riva alla Garonna sono estremizzate. Qui si sovrappongono i nodi che caratterizzano questa fase fosca della storia del vino: sovrapproduzione, crollo dei consumi, invenduto, crisi economico-sociale, speculazione finanziaria, cambiamento dei gusti e delle abitudini, incognite della globalizzazione, mutamento climatico, nuove sfide agronomiche. Ma poiché la Francia del XXI secolo si dimena, anche nel mondo del vino, per tentare di non annaspare passivamente e arrendersi, Bordeaux è diventato una sorta di “laboratorio privilegiato” dove si mettono alla prova riflessioni, sperimentazioni, nuove soluzioni. Insomma, tutto ciò che può servire alla resilienza.
LA CRISI DEI CONSUMI
L’Esagono soffre da tempo una diminuzione della superficie vitata e della produzione di vino. Questo calo ha colpito dapprima i vini comuni, per poi impattare anche le appellations d’origine contrôlée. Il decremento si è fatto così profondo che ormai quasi nessuno ne è rimasto indenne, eccezion fatta forse per la Côte d’Or, il Rodano nord e lo Jura, grazie al blasone e/o alle dimensioni molto ridotte. Il Bordolese è in prima linea in questa “discesa agli inferi”. Non certo per mancanza di prestigio, ma per l’ipertrofia del suo vigneto, per la qualità media e per la debolezza dell’identità commerciale. Partiamo dalle ultime due. La Gironda abbonda di vini di bassa gamma, essenzialmente rossi, destinati in buona parte alla distribuzione ordinaria. Il 58% di essi è venduto in Francia, e oltre la metà di questi finisce in Gdo o nei discount (1). Secondo il giornale La Tribune, l’anno scorso il prezzo medio di una bottiglia di bordeaux in grande distribuzione era di 6,16 €. Il che lascia immaginare quanto vino esca dalle cantine a pochissimi euro al litro. Un livello insostenibile, contro il quale i viticoltori locali si sono scagliati più volte per reclamare tutele dalle istituzioni. La situazione di molte aziende è drammatica: in meno di dieci anni hanno chiuso in oltre 1.600. Alcuni vignaioli non reggono il peso psicologico di questa congiuntura. Negli scorsi mesi due vigneron bordolesi si sono tolti la vita: il 10 maggio Christophe Blanc (59 anni) a Castillon, il 23 settembre Jonathan Mayer (37 anni) nell’Entre-Deux-Mers. Non sono i primi e, si teme nell’ambiente, non saranno gli ultimi. Si aggiunga la scarsa nomea di molte Aop: quanti sono attratti da un côtes-de-bourg, da un graves-de-vayres, da un castillon-côtes-de-bordeaux, da un blaye o da un moulis? Molte delle oltre 60 denominazioni d’origine girondine il più delle volte non vengono neppure assimilate a Bordeaux. Completano il quadro una qualità media spesso corretta ma piuttosto anonima, nonché la prevedibilità gustativa sfidata da innumerevoli tagli bordolesi a buon mercato del mondo intero. La frittata è fatta.
SUPERFICI E PRODUZIONI
Questo crescente insuccesso commerciale, aggravato dalla flessione dei consumi (calati in Francia di due volte e mezzo dagli anni 1960 ad oggi), ha determinato un’inevitabile sovrapproduzione. Così il Bordolese, saldamente in testa alle regioni d’Oltralpe per superfici vitate Aop, ha visto scemare da un decennio la sua produzione. Nel 2016 si vinificavano 5,77 milioni di hl e si vendevano oltre 5 milioni di ettolitri; nel 2024 si sono prodotti 3,32 milioni di ettolitri e commercializzati appena 3,5 milioni. È difficile definire semplicemente “calo” un dato pari al –42,5% in otto anni! Naturalmente la sovrapproduzione strutturale ha indotto i viticoltori a cercare di risolvere il problema alla radice. Dai 112.250 ettari vitati del 2017 si è arretrati di un migliaio di ettari ogni anno fino al 2022, per arrivare a 103mila l’anno seguente e addirittura a 94.670 nel 2024. Ossia il 15,7% di vigne in meno di un decennio. Gli espianti dell’ultimo biennio, incentivati dai pur magri contributi statali (strappati in deroga all’Ue), hanno colpito soprattutto le appellations generiche regionali (Bordeaux e simili) e la famiglia delle Côtes de Bordeaux, tutti nomi minori. Ma le difficoltà riguardano anche realtà più note, come illustra il concordato preventivo della cantina sociale di Saint-Estèphe, schiacciata dai debiti e dall’emorragia di conferitori. Vari di essi, spaventati dalla crisi, hanno tentato la via della produzione in proprio, oppure hanno ceduto alle proposte d’acquisto di potenti cru classé.
LA SPECULAZIONE FINANZIARIA
Proprio i grandi châteaux – classé ed equipollenti – sono tra i primi chiamati in causa quando si affronta un altro nodo della questione bordolese contemporanea: l’esplosione dei prezzi. Se le bottiglie di lusso hanno sempre vantato tariffe tali da giustificare la loro immagine, negli ultimi decenni la speculazione che ha colpito tutto il mondo del vino ha avuto conseguenze particolarmente gravi a Bordeaux (ancor prima di contaminare la Borgogna e altre regioni). Contestualizziamo. Confrontando i prezzi di un noto grossista italiano, notiamo ad esempio che nel 2005 le annate recenti di Lafite-Rothschild costavano attorno a 170- 190 € + Iva, quelle di Yquem all’incirca 150 € e quelle di Pétrus sui 1.000 €. Vent’anni dopo Lafite si è attestato tra 720 e 1.000 €, Yquem supera i 400 €, mentre Pétrus è addirittura scomparso dal listino. Le ultime notizie che aveva dato di sé risalgono al 2020 e lo vedevano veleggiare tra 2.000 e 3.000 € a bottiglia (rigorosamente una sola a cliente). Ovviamente non è al rivenditore in questione che va imputata la responsabilità, se non in piccola parte e per riflesso, di questo fenomeno. Tutte le persone ben informate sanno che nessun elemento qualitativo né tecnico (ossia viticolo o enologico) può giustificare questi prezzi in termini assoluti né tali rincari. Siamo nell’àmbito della speculazione finanziaria pura. Finché alcuni mercati (americano, poi asiatico in particolare) hanno assorbito e consentito questo tipo di distorsione, la tendenza ha proseguito incurante delle conseguenze. Quando il meccanismo si è inceppato è scoppiata la bolla. Dalla Cina arrivano racconti di caveaux stracolmi di cru classé e, qualche mese fa, un quotatissimo sommelier francese di ritorno da una visita in un Premier cru classé girondino mi confidava: «Le casse di invenduto toccano ormai il soffitto della cantina... ».
LE INNOVAZIONI TIPOLOGICHE E I NUOVI GUSTI
Dinanzi alla débâcle imminente Bordeaux non poteva persistere nell’immobilismo di comodo che ha connotato parte della sua storia recente, segnata dagli anni Ottanta in poi da un ingombrante parkerismo. Il noto e stimato importatore statunitense Kermit Lynch ha dichiarato senza giri di parole al quotidiano Le Figaro (2): Robert Parker «ha letteralmente distrutto Bordeaux. La Borgogna ha resistito, mentre Bordeaux si è piegata ai suoi gusti per soldi. E oggi ne paga le conseguenze: ha perso la sua anima». Questi stilemi, fatti di estrazione, iperconcentrazione, intensità, morbidezza e dolcezza aromatica, persino a costo di rese minime e osmosi inversa, hanno in realtà fatto il loro tempo anche in riva alla Gironda e alla Dordogna. Da diversi anni parecchi château hanno cercato di correggere la rotta riducendo gli apporti di legno nuovo, le tostature delle barrique, evitando di esasperare le rese in vigna e di spingere la maturità oltremisura, rinunciando al concentratore, ecc. Ma ci sono parametri che non si modificano così facilmente. Lo strapotere del merlot, ad esempio, che ormai copre i due terzi dei vigneti rossi, imperversa anche sulla Rive gauche. Contenere la gradazione alcolica e l’opulenza fenolica non è un obiettivo che si centri grazie a banali sotterfugi di cantina. Così Bordeaux, costretta a constatare che la crisi delle vendite del vino riguarda molto più pesantemente il rosso degli altri colori, ha iniziato a porsi il problema di accentuare la sua diversificazione tipologica. Appena eletto presidente del consorzio delle Aop Bordeaux e Bordeaux supérieur, Michel-Éric Jacquin3 ha dichiarato: «Facciamo vini buoni. Ma ora dobbiamo produrre vini che piacciano ai consumatori». I girondini tentano di alleggerire i propri rossi, puntando per quanto possibile sulla freschezza, su tannini più agili, su un rovere meno ingombrante, su cariche alcoliche più contenute, talora ispirandosi alla stilistica borgognona. Hanno anche iniziato a investire su tipologie prima marginali. Il rosato si mantiene stabile attorno a 4% dei volumi totali, ma gli spumanti metodo classico (con l’Aop Crémant de Bordeaux) sono cresciuti dallo 0,8% del 2015 al 4% odierno. Gli ultimi dati registrano 1.930 ettari destinati ai crémant (oltre 200 dei quali rosé), che peraltro consentono raccolti molto più generosi, talora doppi, rispetto ai vini fermi. In crescita anche i vini bianchi secchi, passati da 8,5% a 10,5% della produzione in meno di un decennio. Quest’ultimo punto colpisce particolarmente, perché sta influendo sull’enografia locale. Non mancano areali tradizionalmente e legalmente legati a storiche tipologie di vino che hanno abbozzato una parziale riconversione. Per quanto prestigiose, Sauternes e Barsac faticano ormai moltissimo a vendere i loro rinomati vini dolci. Numerosi château hanno dunque scelto di destinare una parte del loro raccolto a nuove etichette di bianchi secchi, nonostante debbano etichettarli come bordeaux generici. Oltre alla cuvée “Y” di Yquem sono nate ad esempio “G” di Guiraud, “Lilium” di Climens o “R” de Rieussec (château che ha peraltro operato un restyling molto invasivo del proprio packaging, volto a svecchiarlo). Certo, i prezzi di vendita sono più bassi dei sauternes, ma le rese in vigna assai più abbondanti. Circolano inoltre indiscrezioni che evocano l’ipotesi di una futuribile appellation Sauternes sec. Un capitolo analogo riguarda i territori rossisti che non possiedono alcuna denominazione riservata ai vini bianchi e che stanno cercando di costruirne una. Si tratta di operazioni laboriose, perché devono seguire lavori di ricerca e iter burocratici (con l’Inao), che quindi non possono dare risultati immediati. Ciò non ha impedito alle istanze ufficiali delle Aop Médoc o Saint-Émilion di avviare una procedura o una riflessione destinate a sfociare in una denominazione riservata al bianco. Forte di un passato in parte (minoritaria) anche bianchista, la prima ha ottenuto, lo scorso 31 luglio, il suo nuovo disciplinare, che autorizza la versione bianca, rigorosamente secca, e obbligatoriamente affinata in legno per almeno il 30% e almeno 3 mesi.
CLIMA E CORREZIONI AGRONOMICHE
La Gironda è anche particolarmente esposta ai cambiamenti climatici. Il clima oceanico fresco, che fino a qualche decennio fa metteva addirittura in discussione la maturazione delle uve, si sta trasformando velocemente, portando con sé estati torride. Ondate canicolari, con temperature prossime o superiori ai 40 °C, sono ormai ricorrenti e sempre più lunghe. La maturazione dei grappoli è precoce e talora improvvisa, acuendo il rischio di uno sfasamento brutale tra maturità tecnologica e fenolica. Se prendiamo il caso del Libournais, la raccolta delle uve si è spostata in media dai primi di ottobre (anni Ottanta) alla seconda settimana di settembre. Una tendenza che, a rigor di logica, dovrebbe favorire un ritorno al cabernet, più tardivo del merlot; cosa che per ora non sta accadendo. È invece iniziata una graduale, cauta introduzione, su base sperimentale, di vitigni alternativi, siano essi esogeni o resistenti. Arinarnoa (incrocio ottenuto dall’Inrae), castets (antico vitigno del Sud-Ovest), marselan (incrocio cabernet-grenache prodotto dall’Inrae) e touriga nacional (tipica cultivar iberica) hanno fatto il loro ingresso (contingentato al 5%) nei disciplinari di produzione delle Aop Médoc, Haut-Médoc, Listrac e addirittura Margaux. Il lusitano alvarinho e i PiWi floréal, liliorila, sauvignac e souvignier gris sono stati ammessi nel médoc blanc. L’intento è adottare varietà più idonee al surriscaldamento globale. Ma in qualche caso la rapidità dello sconvolgimento climatico induce alcuni operatori a fare scelte immediate, come l’iconico Château Lafleur, che dalla vendemmia 2025 ha annunciato la sua fuoriuscita dalla prestigiosa appellation Pomerol, per motivi agronomici. Voci di corridoio parlano di “forzature” viticole non ammesse dal disciplinare (forse l’irrigazione), che hanno spinto la proprietà a rinunciare all’Aop per ripiegare sul Vin de France. Un altro fenomeno agronomico rilevante riguarda i vitigni bianchi. La crescita dei vini secchi sta favorendo l’espansione del sauvignon blanc (45% delle uve chiare) a discapito del sémillon (42%). Il primo porta infatti in dote maggiore freschezza espressiva e la sua riconoscibile aromaticità, argomenti validi sul piano commerciale. Peccato che vada persa la seducente struttura adatta all’evoluzione che il sémillon sa conferire ai suoi vini. Infine, dopo anni di cosiddetto Bordeaux bashing, ossia denigrazione degli aspetti più retrivi o spudoratamente commerciali della regione, il Bordolese ha colto la necessità di una forte e rapida conversione verso metodi agronomici più ecologici. Se l’ampia diffusione della certificazione Haute Valeur Environnementale (Hve) è da intendersi come operazione di pura cosmesi, il biologico è in piena espansione. La Gironda sta recuperando anni di ritardo ed è tra i territori francesi con il più alto tasso di conversione, triplicato in cinque anni. Oggi 22.500 ettari di vigneto della Gironda sono bio o in conversione, anche se il meteo delle ultime annate (2021 e 2024 in particolare) ha scoraggiato diversi attori. Lontanissimo per mentalità e segmento di mercato dalle logiche dei vini naturali, Bordeaux si sta timidamente muovendo anche in quel senso. Da qualche tempo si iniziano a vedere esempi di etichette nature, di sostanza o di comodo, anche in questo territorio.
LE ULTIME DUE VENDEMMIE
Abbiamo evocato l’annata 2024, esempio lampante di un millesimo complicato. Come potranno incidere le ultime due campagne sullo sviluppo vitivinicolo locale? Nella piovosissima ‘24 Bordeaux si è confrontata con un “ritorno al passato”. Uno di quei passati oscuri, in cui le uve non maturavano mai. Ancora più ardua della 2021, la 2024 ricorderà forse le famigerate 1992, 1991, 1984, 1980 o 1977. Pressione della peronospora mai vista, maturazione tardiva, aborto floreale, rese basse, maturazione incompleta ed eterogenea, acidità elevata, tannini verdi... c’erano tutti i presupposti di una cattiva vendemmia. Gli château hanno dovuto operare cernite drastiche (in vigna e in cantina), trattare abbondantemente, talora rassegnarsi alla chaptalisation, al salasso o addirittura rispolverare l’osmosi inversa! Naturalmente la comunicazione ufficiale fa un triplo salto carpiato, parlando di un millesimo “classico”. Staremo a vedere quando usciranno i vini. All’opposto, l’estate 2025 è stata rovente, con la media delle temperature massime attorno a 32 °C, massime spaventose (oltre 41°C sia a luglio sia in agosto4, oltre 40°C già in giugno, più di 35°C a maggio!) e un’insolazione superiore del 10-15% rispetto ai valori normali. Irrisorie le piogge durante l’estate (–24% rispetto alla media). La vendemmia dei rossi è iniziata addirittura negli ultimissimi giorni di agosto a Saint-Émilion5, cosa mai vista prima. La ‘25 si configura quindi come un’annata “neo-normale”, ovverosia in linea con la nuova regolarità di millesimi caldi e precoci: 2023, 2022, 2020, 2019, ecc. Come che stiano le cose, dalle ultime due campagne emergono con chiarezza l’irregolarità e l’imprevedibilità ormai strutturali che connotano il clima anche nel Bordolese. Terroir un tempo fresco e noto per la sua mitezza, oggi la latitudine meridionale (attorno a 45° nord) sta imponendo la sua legge e la prossimità dell’Atlantico si sta trasformando in un’incognita rischiosa. Bordeaux ha davanti a sé filo da torcere. ◆
1 Se non diversamente specificato, tutti i dati sono riferiti al 2024 e forniti dal Civb e dalle Dogane francesi.
2 Su www.lefigaro.fr il 27 luglio 2025. La traduzione è mia.
3 A fine agosto 2025. Jacquin è stato per vent’anni espressione dell’opposizione interna al sindacato (il collettivo “Viti33”), il che è rivelatore del desiderio di rinnovamento che incarna.
4 L’11 agosto ha registrato il record storico di sempre, con 41,6 °C, e la media delle massime mensili è stata di 30,7 °C a fronte di una norma di 27,6 °C. Quanto alle piogge, solo i temporali del 28 e del 29 agosto hanno riportato i valori quasi nella norma; in barba tuttavia alla regolarità e dunque alla disponibilità di acqua.
5 Per le uve dei crémants si è iniziato addirittura il 14 agosto.

