Il vino italiano e le indicazioni geografiche: un lungo viaggio normativo

Diritto diVino
di Paola Marcone
05 settembre 2025
60 anni di attività di AIS, 61 anni tra l’entrata in vigore, nel 1963, della normativa che regolamenta le DOC e il 2024, anno dell’ultimo Regolamento dell’Unione Europea sulle indicazioni geografiche
Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 28 Maggio 2025
Questa sostanzialmente identica sovrapposizione di date ha fatto sì che AIS sia stata da sempre testimone interessata di tutto il percorso normativo che ha riguardato il vino italiano ed europeo, recependo nella propria didattica ogni aggiornamento necessario per un’offerta formativa completa e approfondita. L’anniversario della fondazione dell’Associazione è sembrato quindi una buona occasione anche per ripercorrere il contesto e i presupposti storici, giuridici e politici della genesi e dell’evoluzione del sistema normativo vitivinicolo basato sulle indicazioni geografiche per come lo conosciamo oggi.
GLI ANNI SESSANTA
All’indomani della Seconda guerra mondiale, la devastazione che ha coinvolto tutti gli Stati europei muove politiche di condivisione degli interessi in un’ottica di rilancio del tessuto sociale ed economico. Il Trattato di Roma sottoscritto nel 1957 è il punto di incontro di tale proposito e il settore agricolo è individuato da subito come uno dei pilastri per politiche di coesione. Iniziano quindi a discutersi in sede europea misure protezionistiche, di sostegno dei prezzi e del mercato, che vengono rese strutturali nel 1962 con quella da allora conosciuta come Politica Agricola Comune (PAC), esercitata per mezzo delle Organizzazioni Comuni dei Mercati (OCM), ognuna concepita per gestire la produzione e il commercio dei singoli settori agricoli. In tale scenario la protezione dei beni agroalimentari legata a un concetto qualitativo di provenienza geografica rimane del tutto involuto, dandosi priorità a politiche dirigistiche finalizzate alla garanzia di reddito costante per gli agricoltori e di approvvigionamento continuo per i consumatori. Nel settore vitivinicolo le politiche seguono strade parzialmente diverse: la prima OCM dedicata è redatta solo nel 1999 (sulla base di politiche differenti da quelle degli anni Sessanta) mentre inizialmente i tavoli di lavoro dell’allora C.E.E. trattano più che altro temi tecnici, non senza diffidenze tra gli Stati fondatori. Le parole dell’on. Audisio pronunciate nel 1963 alla Camera in sede di relazione sulla proposta di legge delega al Governo sulle denominazioni di origine sono infatti significative: “Ora, la Francia ha dichiarato di non voler rinunziare, almeno per un lungo periodo di tempo, all'utilizzazione del saccarosio per il taglio dei vini, mentre in Italia questa pratica è vietata dalla legge. Ebbene, come possiamo essere d'accordo con i delegati francesi i quali, mentre insistono nel voler utilizzare il saccarosio, chiedono che l'Italia rinunzi ad impiegare i mosti meridionali per «correggere» i vini in determinate annate? (…) oltre ai francesi, sono andati all'attacco delle posizioni italiane anche i delegati tedeschi. (…)”. Se questi erano alcuni dei temi discussi nelle allora nascenti istituzioni europee, gli argomenti più strettamente legati al valore qualitativo dell’origine dei vini rimangono viceversa ancora appannaggio degli interventi legislativi dei singoli Stati che – storicamente – hanno comunque sempre riconosciuto il rilievo giuridico delle denominazioni, a partire da quanto si legge nel Bando del 1716 con cui il Granduca di Toscana, Cosimo III de’ Medici, per la prima volta offre tutela ai vini prodotti in precisi areali geografici (Chianti, Pomino, Carmignano e Val d’Arno di Sopra) regolamentandone la produzione. In epoca moderna, è invece la Francia, all’indomani della decimazione del vigneto europeo per le malattie fitosanitarie e delle proteste dei viticoltori del Midi contro le adulterazioni e contraffazioni, la prima a dotarsi di un impianto regolatorio unitario in materia vitivinicola. Vengono prima codificate le disposizioni di circa 80 testi, datati dal 1908 fino al 1930, e nel 1936 è approvato il Codice del vino. Precedentemente, nel 1935, è fondato l’Institut national de l'origine et de la qualité (INAO) e nasce l’Appellation d'Origine Contrôlée (AOC).
Anche in Italia il dibattito su una normativa organica di tutela alla produzione nazionale inizia ad articolarsi dall’inizio del Novecento. Nel 1937 viene emanata una legge di regolamentazione base della produzione e commercio del vino, compresa la tutela delle denominazioni d’origine, ma nel periodo post bellico il provvedimento è di fatto abrogato, per l’impossibilità di attuare strumenti normativi predisposti nel più ampio contesto della legislazione del decaduto regime fascista. Segue quindi una fase di frammentazione normativa su cui la lettura degli atti parlamentari del 1963 offre ancora uno sguardo significativo. Così relaziona l’on. Prearo: “(…) È nota l’importanza che ha avuto da sempre nell’economia nazionale la viticoltura italiana; importanza che negli ultimi anni si è allargata perché interessa e si ripercuote, più del passato, sui mercati stranieri e, in particolare, su quelli del M.E.C.. Pertanto, il complesso problema della tutela della denominazione di origine che si trascina dal 1904 (…) va affrontato e risolto al più presto. (…) La legge in esame delega il Governo a mettere finalmente un po' di ordine, e soprattutto a tutelare i nomi di origine già esistenti dei vini e che si sono imposti per la loro qualità. L’importanza è data anche dal numero elevato di detti tipi e che pertanto rende necessario delle precisazioni per evitare equivoche interpretazioni, confusioni di nomi e aggettivi che operatori economici poco scrupolosi possono fare. (…). La legge che il Governo si prepara ad emanare ottenuta la delega verrà a colmare una lacuna grave nella nostra legislatura trascinatasi fino adesso e ci metterà in condizioni di parità con nazioni, come la Francia, che già da molti anni hanno saputo imporsi una lodevole disciplina. (…)”.
L’esigenza di riordino è quindi confermata con l’approvazione della legge delega; con il D.P.R. 930/1963 diverranno operative “norme per la tutela delle denominazioni di origine, dei mosti e dei vini” in un Paese che all’epoca si stimava raggiungesse tra i 106 e i 108 litri annui di consumo interno medio pro capite (nel 2024 si è registrato un valore di 26,3). I cardini del provvedimento ruotavano intorno a 5 punti:
- La denominazione di origine, definita dal senatore Carelli “(…) l’area radiante di dilatazione e sviluppo di ogni azione (…)” e articolata in “semplice”, “controllata” e “controllata e garantita” a seconda dei diversi criteri di regolamentazione individuati;
- La costituzione di un Albo dei vigneti, denuncia e controllo della produzione;
- La costituzione di un Comitato nazionale per la delimitazione della zona di produzione e per la determinazione dei disciplinari di produzione;
- La regolamentazione dei Consorzi volontari;
- La predisposizione di apposite disposizioni contro le frodi, che vengono poi organicamente riassunte in un successivo provvedimento del 1965.
GLI ANNI NOVANTA
Se è a metà degli anni Sessanta, quindi, che l’Italia compie il primo decisivo passo per regolamentare un settore così strategico per la propria economia, un altro passaggio fondamentale per la nostra viticoltura è segnato nel 1992: è emanata la nuova disciplina delle denominazioni d'origine con Legge n. 164, che giunge dopo un dibattito decennale attraversato dal funesto scandalo del metanolo. Nel 1986 furono infatti 23 le persone decedute e decine di altre subirono lesioni gravi a causa delle intossicazioni per adulterazioni da metanolo. L’importanza dei fatti determinò l’emanazione di una nuova legge di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari, istitutiva dell’anagrafe vitivinicola su base regionale, destinata a raccogliere per ciascuna delle imprese dell’intero comparto alcolico i dati relativi alle rispettive attività. Sul fronte delle denominazioni di origine il lavoro di ammodernamento dell’impianto regolatorio è invece ben rappresentato dalle parole del prof. Mario Fregoni, allora Presidente del Comitato Nazionale Denominazioni Origine Vini, contenute nel Compendio della legge: “(…) oltre ad acquisire la normativa CEE in materia di V.Q.P.D.R., promulgata dal 1970 in poi, la nuova legge regolamenta con stile «italiano», aderendo alle esigenze e alla specificità vitivinicola italiana, in modo articolato e dettagliato, le denominazioni, i riconoscimenti, i controlli, ecc. (…) ha un impianto che tende a sviluppare in senso piramidale le denominazioni e quindi ad evitare l’appiattimento o peggio il decadimento qualitativo. La qualità è inoltre concepita in senso moderno, vale a dire come «qualità globale», così come la vuole il consumatore attento e colto della nostra epoca; la stessa, infatti, comprende tre fattori di grande rilievo: 1) l’origine, 2) la qualità intrinseca innata (naturale, proveniente dall’ecosistema viticolo) ed acquisita (dai fattori umani, tecnologici), 3) la genuinità o purezza (assicurata dai controlli chimico-organolettici). (…)”.
Innovativa nell’impianto e negli strumenti di tutela, la nuova legge mantiene tuttavia inalterati i principi fondamentali della precedente disciplina, esaltando anzi ulteriormente il legame tra vino, vigneto e territorio mediante l’istituzione delle Indicazioni Geografiche Tipiche (IGT), che vanno ad aggiungersi alle DOC e alle DOCG, e l’introduzione di concetti quali sottozona, fattoria, vigna. Sul fronte dei controlli vengono estese competenze e responsabilità degli Enti preposti mentre il contenuto dei disciplinari di produzione viene dettagliatamente precisato. A livello europeo, la Comunità prosegue il suo percorso di condivisione: nel 1992 è firmato il trattato di Maastricht e dal 1º gennaio 1993 entrano in vigore le norme sul mercato unico, con libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. I Paesi aderenti sono ormai 15 e nel 1999 nasce l’Euro, mentre nell’ambito delle politiche agricole, preso atto che per i massicci interventi di sostegno al mercato operati in passato la produzione ormai supera la domanda, le istituzioni introducono misure di sviluppo rurale dedicate al sostegno diretto al reddito degli agricoltori, con incentivi per migliorare la qualità e offrire al consumatore prodotti validi anche dal punto di vista nutrizionale. In tale contesto, per la prima volta, anche i prodotti agroalimentari conoscono definizioni qualitative correlate all’origine: sono disciplinate infatti con Regolamento del 1992 le Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e le Indicazioni Geografiche Protette (IGP). I principi così definiti sono stati poi ulteriormente affinati con provvedimenti successivi, senza tuttavia mai ne fossero snaturati i fondamenti. I tempi iniziano a essere maturi per l’unificazione della normativa in materia di denominazione per tutti i prodotti, vino compreso.
DAGLI ANNI DUEMILA A OGGI
La riforma dell’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (OCM), resa unica nel 2008 per tutti i prodotti e non più settorializzata, è l’occasione per offrire un quadro omogeno di protezione delle indicazioni geografiche sia vitivinicole che agroalimentari, classificate uniformemente in DOP o IGP. Per il comparto vino, nel nostro Paese è il D.lgs. 61/2010, che poi verrà sostituito dal Testo Unico del 2016, a precisare che i vini italiani DOCG e DOC debbano confluire nella categoria dei vini DOP e che i vini IGT vengano identificati con le IGP. In ogni caso, è fatta salva la scelta del produttore se continuare a utilizzare le menzioni nazionali o indicare quelle comunitarie. Sul fronte legislativo europeo, invece, tutta la normativa in materia di indicazioni geografiche dei vini viene fatta confluire nel Regolamento UE 1308/2013. Integrato e modificato negli anni, il provvedimento è il fulcro delle disposizioni sulle indicazioni geografiche, di cui quelle vitivinicole costituiscono un tassello e da cui i singoli stati membri non possono prescindere. Anche il Testo Unico del vino, con cui l’Italia nel 2016 ha riordinato la materia, è quindi specchio di quelli che sono i precetti comunitari in tema di inindicazioni geografiche, ritenute capaci di “(…) svolgere un ruolo importante in termini di sostenibilità, anche nel settore dell’economia circolare, accrescendo il proprio valore di patrimonio culturale e rafforzando così il proprio ruolo nel quadro delle politiche nazionali e regionali al fine di conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo (….)”.
Queste sono le parole oggi riportate nel Regolamento UE 1143/2024, in vigore dal maggio 2024. L’atto introduce un quadro giuridico unico e procedure di registrazione abbreviate e semplificate identiche per vini, bevande spiritose e prodotti agricoli, puntando anche ad aumentare la protezione delle indicazioni geografiche utilizzate come ingredienti e vendute online, oltre che dare rilievo alle pratiche sostenibili. Sfide queste che si presentano impegnative ma che sembrano necessarie in tempi di mercati globalizzati costretti ad affrontare riemergenti politiche incrociate di dazi e protezionismi vari.