Marco e Domenico Triacca: «In vigna abbiamo trovato la nostra Perla»

Marco e Domenico Triacca: «In vigna abbiamo trovato la nostra Perla»

Interviste e protagonisti
di Sara Missaglia
07 gennaio 2022

In Valtellina ci sono terrazzamenti dove i ronchi vitati di nebbiolo tra i muretti a secco sanno raccontare una storia fatta d’amore e di passione: una storia di famiglia e di legami, di vendemmie e di scelte.

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 21 Novembre 2021

La perla è qualcosa di raro, intimo, protetto: luce della luna e rarità del mare. Ma la si incontra anche tra i pendii della Valgella, l’areale della DOCG Valtellina Superiore più a est della Valtellina. E quando “Perla” è il nome dolce con cui veniva chiamata la mamma, l’ostrica si schiude, e lascia spazio ai ricordi. Per Marco Triacca la propria cantina, che corrisponde alla grande avventura professionale che prende il via a Tresenda di Teglio nel 2009, non poteva che chiamarsi così: tributo e riconoscenza verso la figura materna che lo ha lasciato e che, fino all’ultimo istante, lo ha spronato a fare da sé, a osare, ad avere coraggio. La mamma nel cuore e il papà Domenico in vigna, pronto ancora oggi, dopo tanti anni nella cantina Triacca La Gatta di proprietà dei cugini, a dare consigli e a condividere con Marco gli assaggi, con tutta la discrezione e la saggezza di chi sa che, anche se “il frutto cade vicino alla pianta”, ogni nuovo fiore avrà la sua storia. Il grande Meco, così lo chiamano in Valtellina, è a sua volta enologo: innovatore, sperimentatore, visionario, rigoroso in vigna come in cantina. Da sempre animato dal desiderio di realizzare nuovi progetti, di lasciare traccia nella viticoltura valtellinese con qualcosa di unico e originale, ha provato e riprovato con orgoglio, passione e quella buona dose di testardaggine a guardare il vigneto da un altro punto di vista: Einstein diceva che “se continui a fare le stesse cose otterrai gli stessi risultati”. E così Domenico Ri-Generazioni Marco e Domenico Triacca: «In vigna abbiamo trovato la nostra Perla» In Valtellina ci sono terrazzamenti dove i ronchi vitati di nebbiolo tra i muretti a secco sanno raccontare una storia fatta d’amore e di passione: una storia di famiglia e di legami, di vendemmie e di scelte.

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Triacca cambia prospettiva e orientamento, e quarant'anni fa ha realizzato un nuovo metodo di allevamento della vite attraverso la sistemazione dei filari a girapoggio, scardinando la disposizione dei vigneti a ritocchino, tipica in Valtellina, ovvero da nord a sud. Una montagna ridisegnata in senso longitudinale, con una buona parte della comunità vitivinicola che faticava allora a comprendere la portata dell’innovazione: Meco, uomo del -fare- più che del -dire-, è stato così il precursore della parziale meccanizzazione del vigneto, oggi traguardo inseguito da tanti viticoltori di nuova generazione. A lui si deve inoltre l’introduzione in vigna dei pali a chiave di violino, con l’obiettivo di dare al nebbiolo delle Alpi una migliore esposizione al sole. Marco è cresciuto non all’ombra ma alla luce di un papà come Domenico, e con lui ha respirato da sempre il profumo del vino. Contagiato da tanta competenza, perizia e innovazione, Marco si laurea in Scienze Agrarie al Politecnico Federale di Zurigo, e prosegue gli studi con un Master in Viticoltura ed Enologia a Montpellier e Bordeaux, e gli stage presso l’Istituto di Ricerca Agroscope Changins-Wädenswil e l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Prima studiare e poi fare, in famiglia si usa così, e per Marco, cresciuto tra Italia e Svizzera, sono anni di investimento su se stesso. «Nel luglio del 2008 dopo una vendemmia di studio nelle Langhe, stavo scrivendo la mia tesi per la Francia, e iniziavo a pensare di non entrare nell’azienda dove per tanti anni aveva lavorato papà, andato recentemente in pensione: la scintilla che mi ha portato a prendere la decisione di dare vita alla mia cantina è stata la perdita della mamma». Gli occhi di Marco si velano di emozione nel ricordare gli ultimi momenti con lei: c’è un amore che va oltre il tempo, e ci sono immagini che gli anni non potranno mai cancellare. I saluti non sono mai addii, ma solo arrivederci: la vita non si spegne, ma si trasforma in energia per aiutare Marco nell’individuare la strada -giusta-, anche se più complessa. Pochi giorni dopo la scomparsa della mamma, nel dicembre 2008, la decisione di fondare la sua azienda: il via avviene dopo una vera e propria riunione di famiglia, i conti fatti più con il cuore che con la calcolatrice in una logica sicuramente distante dalle regole di un rigido business plan.

Il 15 gennaio 2009 Marco pota per la prima volta quello che diventerà il suo vigneto. Nuovi tralci e nuova vita: in quell’anno nasce la cantina di Marco. Papà Domenico non perde l’occasione di sottolineare che l’azienda è di suo figlio, orgoglioso delle scelte di Marco e rispettoso di questa sua creatura: niente ingerenze solo apporto, di esperienza e di affetto. «Una cosa è stato lo studio, un’altra la pratica: potare gesto della partenza. Poche parole e tanta vigna, tanto esempio e poche chiacchere. Non di rado qualcuno passava qualcuno a guardarci per vedere il Meco potare, non ci credeva quasi nessuno»; e sempre Marco: «dal papà ho ricevuto questa straordinaria voglia di innovare, di sperimentare, i cui risultati sono nel vigneto a girapoggio. Se papà non avesse avuto una dose incredibile di dinamismo accompagnata da una serie di intuizioni che hanno anticipato le strade di molti, oggi non avremmo avuto questa disposizione in vigneto. Ha saputo leggere il territorio, la natura e i tempi, anticipando comportamenti e scelte, incurante di dubbi, rischi o critiche». Nelle parole di Marco, che intervistiamo in una bellissima giornata di agosto, ci sono amore e riconoscenza, ma anche ammirazione e stima. «I miei ricordi di papà in vigna risalgono ai primi anni di infanzia: non c’era nulla che lo rendesse più felice e orgoglioso del prendere un grappolo d’uva tra le mani. Lo trattava con delicatezza, quasi fosse un neonato. In quel gesto c’era il senso del suo lavoro. Il risultato del suo fare, l’entusiasmo del raccontare. E quando oggi sono io a ripetere lo stesso gesto, rivivo quella stessa emozione.» Di padre in figlio, di gesto in gesto: si proseguiva in cantina, nell’assaggio del vino. «Mio padre è sempre stato di poche parole, ma la soddisfazione e la fierezza di aver realizzato un vino importante si esprimeva attraverso una luce particolare nello sguardo». Meco è sempre stato attento ai particolari in vigna e in cantina, premuroso nell’accoglienza: «non è mai un’accoglienza di maniera», prosegue Marco, «ma sentita, data dal cuore. Mio padre ancora oggi trova le parole -giuste- per importatori, giornalisti, turisti, appassionati, senza modificare il proprio carattere o la sua natura; credo davvero di assomigliargli, anch’io racconto ciò che facciamo in modo semplice e diretto». Tra i tanti ricordi che Marco condivide con noi ce n’è uno in particolare che lo fa sorridere: il momento in cui il papà realizzò il Moscato Rosa allevato presso la Tenuta La Gatta di Bianzone, che poi prese il nome di Vino del Presidente in quanto piacque tanto alla signora Franca Ciampi, moglie del Presidente Carlo Azeglio in visita in Valtellina nel 2003, che lo degustò in fase di sperimentazione ancora privo di etichetta e nome. Una sfida enologica, con una bacca meno nota e diffusa, che non fece dormire Domenico per diverse notti.

«Dal mio papà ho ereditato la passione: è sempre molto esigente con se stesso e con gli altri. Ma quando per la prima volta mi ha detto “bravo” assaggiando il mio vino mi si è riempito il cuore di gioia». Per i suoi primi vini Marco aspettava l’approvazione del papà, e ricorda gli assaggi in attesa di un cenno di assenso: oggi gli anni e l’esperienza si sono tradotti in sicurezza e autonomia per Marco, ma l’assaggio con il papà è ancora oggi un rito dal sapore affettuoso, sempre più un gesto d’amore che tecnico, e che comunque vale più di un 10 e lode. «Ho pensato diverse volte se dedicare un vino al papà, proprio perché ho intitolato la cantina alla mamma. Non credo che lo farò al momento, perché lo vedo ovunque e ho il privilegio ogni giorno di confrontarmi con lui. Non sento la necessità di farlo, con lui ho condiviso già tantissimo: il mio secondo nome è Domenico, non mi lascia mai solo, nemmeno nella ragione sociale dell’azienda. Il miglior modo un giorno per ricordarlo sarà quello di portare avanti tutto ciò che mi ha insegnato e trasmesso». Oggi la Cantina La Perla si estende per circa 3,3 ettari , con quasi 22.000 bottiglie prodotte. “Coltiviamo sogni ” è il claim della cantina: «è un sogno che continua, si rinnova e si rigenera», racconta Marco. «Il Coltiviamo è un po’ come quelle serie tv che alla fine di ogni episodio lasciano qualcosa in sospeso, qualcosa che continuerà. Il sogno prosegue, e questa è la magia di tutta la mia storia. Fai la tua esperienza nella vita, sbagli, cambi, ti migliori ma non sei solo: ci sono la mia famiglia, i miei amici, i miei collaboratori e, se mi guardo indietro, riconosco in tanti volti la capacità, la forza e l’entusiasmo nel realizzare tutto ciò che mi circonda». Coltivare i sogni e crederci fino in fondo: come il lento lavorio del granello di sabbia che trasforma un’imperfezione in qualcosa di unico. Un filo di perle, non al collo ma tra i filari. Il colore dipende dalla stagione.