Sessant'anni di Nuovo Mondo

Mondo Vino
di Ilaria Ranucci
30 luglio 2025
Rivoluzioni, controrivoluzioni, momenti di crescita e venti di crisi. Continuiamo a chiamarlo “Nuovo Mondo” del vino, ma a guardare bene gli ultimi sessanta anni spesso hanno avuto una dinamica non dissimile dai Paesi di più lunga tradizione, almeno per quanto riguarda il vino di qualità.
Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 28 Maggio 2025
E qualche volta ha anche fatto da battistrada. Questo, in parte, perché anche i Paesi di più lunga tradizione nel mondo del vino si sono dovuti riprendere, nel Secondo dopoguerra, da un lungo periodo di difficoltà. E anche perché la possibilità di viaggiare e conoscere ha reso il mondo più piccolo, consentendo ai produttori di vino di oltreoceano di chiudere presto il gap con i propri Paesi di riferimento: non poche eccellenze nel nuovo mondo sono nate dalla forte ammirazione per i vini di Bordeaux e Borgogna. E lo scambio è stato reciproco, basti pensare all’importanza di centri di ricerca come la University of California Davis o la University of Adelaide in Australia e al fenomeno dei flying winemakers. Impossibile non guardare ai sessanta anni tra il 1960 e il 2020 come un periodo di grandi successi, anche se si sono chiusi su note di crisi e perduranti incertezze. Del resto, all’inizio degli anni ’60 c’era davvero, per il mondo del vino, ancora moltissima strada da fare.
ANNI ’60 NASCE IL MITO DELLA NAPA VALLEY
Negli anni Sessanta del secolo scorso, qualcosa, non dappertutto, stava già emergendo sui mercati internazionali. Negli Stati Uniti, dopo la fine del proibizionismo, qualcuno che era andato avanti vendendo uve, aveva dovuto trovare nuovi sbocchi. È il caso di Cesare e Rosa Mondavi, che nel 1943 fanno un primo salto di qualità acquistando la storica e malmessa Charles Krug Winery a St. Helena nella Napa Valley, divenendo così proprietari di parte del celebre vigneto To Kalon. Nel 1966 la famiglia si scinde per una lite tra fratelli, si dice per una pelliccia, e il vulcanico Robert, grande comunicatore, fonda la Robert Mondavi Winery. Robert Mondavi avrà un ruolo centrale per la Napa Valley, realizzando la sua visione di un vino californiano capace di puntare al settore premium sui mercati internazionali e dando vita anche a ormai leggendarie joint ventures. Questo grazie anche al dinamismo della seconda moglie Margrit, che creerà anche il modello di ospitalità della Napa Valley, tuttora fonte di fama e reddito per le cantine. In Australia c’è già un vino icona, il Penfold’s Grange, nato nel 1951, ma il consumo domestico di bevande alcoliche è ancora quasi tutto dominato da birra, superalcolici e al più vini liquorosi. Altrove invece di vino di qualità si parlava davvero poco, o per mancanza di entroterra culturale, ad esempio la Nuova Zelanda, o per una situazione politica non semplice, basta pensare al Sud Africa ancora chiuso nella morsa dell’Apartheid, o al tumulto del Sud America, con la produzione di Argentina e Cile ancora incentrata su criolla e pais.
ANNI ’70 LA SVOLTA DEL GIUDIZIO DI PARIGI
Gli anni Settanta sono quelli in cui per la prima volta viene messo in dubbio il primato di eccellenza dei vini francesi. Ne è l’emblema il Giudizio di Parigi del 1976. La storia è affascinante: un gentleman inglese amante del vino e particolarmente creativo, il compianto Steven Spurrier, decide di organizzare una degustazione alla cieca tra i colossi del vino francese e i parvenu californiani. La giuria è imponente e quasi tutta transalpina, e include tra gli altri mostri sacri Aubert de Villaine e l’allora ispettore generale dell’AOC. L’esito è da togliere il fiato: sia tra i bianchi che tra i rossi sarà un vino californiano a pretendere il primo posto. Un piccolo incidente di percorso per vini come Mouton Rotschild 1970, arrivato solo secondo tra i rossi dietro al cabernet sauvignon di Stag’s Leap Wine Cellars 1973, se non fosse successo che, quasi per caso, c’era un giornalista del Time in sala. L’evento ebbe quindi una cassa di risonanza enorme, facendo voltare gli occhi del mondo enoico verso la California. Nel decennio, anche l’Oregon inizia a farsi notare: nel 1970 esce la prima annata del pinot nero di David Lett, pioniere della regione. Già nel 1979 a Parigi il suo Eyrie Vineyards 1975 South Block Reserve si classificherà primo alla Olympiad du Vin di Gault&Millau. In Sud America, l’Argentina tocca nel 1970 il picco nel consumo pro-capite di vino, spingendo verso una forte crescita delle superfici vitate, poi foriera di un futuro tracollo. In Cile, un golpe militare porta al governo il generale Augusto Pinochet, dando inizio a quasi un ventennio di export difficile, non compensato dai bassi consumi interni.
ANNI ’80 L’ALBA DELL’ERA PARKER
Gli anni Ottanta cominciano sotto l’insegna del taglio bordolese. O meglio, sotto l’insegna di Robert Parker che, da poco conosciuto avvocato di Baltimora, indovina prima di altri nella sua newsletter Wine Advocate il grande potenziale della annata 1982 a Bordeaux diventando “the emperor of wine”. È importante per tutti perché definirà lo stile cui aspirare: i punteggi e premi dei critici, sopratutto del più famoso, favoriranno i vini potenti e fruttati dando vantaggio ai prodotti dei Paesi con tradizione meno consolidata, rispetto ai tradizionali Paesi produttori europei. Definirà anche i vitigni di riferimento, spingendo quelli del taglio bordolese e i vitigni del Rodano (basti pensare al picco di popolarità, a fine decennio, toccato dal fenomeno dei Rhone Rangers). Nel 1988 Wine Spectator pubblica per la prima volta la sua Top 100, lista dei vini migliori al mondo secondo una classifica basata su qualità, valore e reperibilità. Inizieranno da subito a piazzarsi bene i vini a stelle e strisce. In questo decennio, finalmente, si affaccia alla ribalta internazionale un nuovissimo Paese. Nessuno avrebbe mai pensato – o apparentemente quasi nessuno – che l’isola nord della Nuova Zelanda potesse essere il luogo ideale per produrre sauvignon blanc fuori dalla Loira. Nel 1985 esce la prima annata di Cloudy Bay e si afferma, complice anche un progetto tecnico ben definito, un sauvignon blanc che non ha nulla dello stile francese: fruttato, riconoscibilissimo nei profumi, pieno di energia. Sempre in Oceania, nel 1980, viene fondata Wine Australia, che sarebbe divenuta un modello di successo di organizzazione nella promozione dei vini.
ANNI ’90 NUOVE ECCELLENZE SI AFFACCIANO AL MONDO DEL VINO
Questo decennio si apre all’insegna della speranza. Si preannuncia la fine dell’Apartheid in Sud Africa e il Paese comincia ad aprirsi. In questo contesto rinasce la storica tenuta di Klein Constantia. Nel 1990 arriva la prima release moderna del Vin de Constance, annata 1986, rimettendo al mondo un vino leggendario. Anche in Sudamerica qualcosa si muove. In Cile, il regime di Pinochet è appena finito, e arrivano molto presto i capitali stranieri. Nel 1996 Eduardo Chadwick di Viña Errazuriz si allea con Robert Mondavi per produrre Seña e nel 1997 Concha y Toro annuncia invece, in collaborazione con Philippe de Rothschild, la nascita di Almaviva. L’Argentina entra nel decennio in crisi, dopo la forte flessione dell’export dovuta alla guerra delle Falklands e stante un drammatico dimezzamento dei consumi pro-capire domestici. Nel 1991 il peso viene ancorato al dollaro americano, creando un raro momento di stabilità, ma gettando i semi dei problemi finanziari futuri. Nicola Catena rompe gli schemi dell’epoca piantando nel 1992 il vigneto Adrianna, a Gualtallary. Dopo anni di rimpallo dei primi posti tra Francia e USA, nel 1995 Penfold’s Grange reclama il dovuto omaggio e si colloca al primo posto della Top 100 di Wine Spectator, primo vino australiano. Negli Stati Uniti nel 1991 una puntata di 60 minuti dedicata al paradosso francese (il basso rischio cardiaco della popolazione francese nonostante la dieta ricca di grassi) crea il binomio vino e salute. Crescono e diventano più sofisticati i consumi e si consolida e diversifica la produzione, con un trend positivo che continuerà sino ai primi anni del decennio successivo.
ANNI ’00 CRISI, ESPANSIONE E CONSOLIDAMENTO
Il nuovo millennio è soprattutto un periodo di consolidamento, in cui si rafforza il trend di premiumizzazione e si inizia a diversificare per contrastare incombenti segnali di rallentamento. In Australia c’è forte crisi per chi punta sui volumi, per effetto di una vorticosa crescita delle superfici vitate, ma si affermano nuove zone e ci si focalizza sulla qualità. Si costruisce in questo decennio il mito delle vecchie viti: a partire dal 2007 Yalumba ha realizzato una prima classificazione di questi vigneti. Su questa base, dal 2009, la associazione di categoria dei produttori di vino della Barossa Valley ha definito la sua Old Vine Charter. Un censimento delle vigne più vecchie, raccolte in quattro categorie. Le Ancestral sono le vigne più vecchie, quelle di almeno 125 anni, che la vecchia Charter di Yalumba definiva, in modo affascinante, tricentenarie. In Nuova Zelanda triplica la superficie vitata e, a fianco del sauvignon blanc, si afferma il pinot nero. Dal 2002 il Cile si impegna a non utilizzare più le denominazioni europee tipo Chablis e Champagne e si lavora per consolidare il carmenère come vitigno di riferimento. La stessa cosa fa l’Argentina con il malbec (il primo Malbec World Day sarà nel 2011), alla ricerca di un modo di agganciare il segmento premium, costruendo una identità di brand incentrata sul vitigno. Un poco dappertutto si cercano nuovi sbocchi e anche nuovi mercati. Inizia la vorticosa crescita del mercato cinese, mentre nel Paese si investe per incrementare la produzione locale di vini, a ritmi vorticosi.
ANNI ’10 E ’20 IL CAMBIAMENTO NEI CONSUMI E L’ARRIVO DELLA CRISI
I primi dieci anni del nuovo Millennio si aprono sulla scia di una crisi finanziaria pesante, che ha portato un poco ovunque a momenti di shock. Prende velocità il trend di decrescita del consumo pro-capite di vino in diversi Paesi. La flessione è purtroppo guidata dai giovani, con Generazione Z e Millennials che comunque come consumatori si distinguono per la ricerca di novità e sostenibilità, portando alla riscoperta di vitigni prima trascurati e guidando l’affermarsi di vino naturale e low alcol, instaurando un trend che non accenna ad esaurirsi. A fianco delle varietà internazionali si sperimenta con altri vitigni, tra cui quelli italiani, che compaiono nelle regioni del mondo più impensate. In un contesto in cui cresce l’attenzione al salutismo, cresce anche la diffidenza nei confronti dell’alcol. Ne soffrono nel complesso i vini rossi, cui si preferiscono spumanti, bianchi e rosé fermi. Esplode invece, soprattutto nella seconda metà del decennio il mercato dei fine wines, in parallelo alla polarizzazione dei redditi: mentre i produttori che hanno puntato sulla quantità faticano a tenere i propri spazi, i vini iconici vedono i prezzi moltiplicarsi divenendo a volte oggetto di ricerche talmente affannose da diventare quasi comiche. Il mercato cinese cambia ferocemente direzione: dopo aver toccato il picco del consumo nel 2017, inizia la discesa che lo porterà quasi al dimezzamento in 5 anni e che sarà foriera di dazi, soprattutto a scapito dei vini australiani. Questo accentuerà anche la dipendenza dagli Stati Uniti come primo mercato mondiale, cosa che tanto porterà preoccupazione al ventilarsi, nel 2025 che stiamo vivendo, di dazi pesanti per l’importazione di vino negli USA.