Il cacciatore di vini rari (e buoni)

Il cacciatore di vini rari (e buoni)

Sommelier al lavoro
di Alessandro Franceschini
04 febbraio 2023

Il regno di Pietro Sangiorgio, neo Miglior Sommelier della Lombardia, è uno scrigno di perle rare, di bottiglie ricercate e custodite con cura, pronte per essere vendute a collezionisti ma anche a semplici appassionati. L’importante è che amino il bello, e il buono naturalmente

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 23 Novembre 2022

Migliaia di bottiglie, cercate un po’ ovunque lungo lo Stivale e all’estero, nascoste nelle cantine di appassionati o direttamente in quelle di produttori. Non solo vini, ma anche distillati e persino vecchi amari con svariati lustri sulle spalle, ma ancora in forma e pronti a stupire chi si avvicina con curiosità e apertura mentale. Va a caccia di tutto questo, ogni giorno, Pietro Sangiorgio, classe 1995 e da qualche mese Miglior Sommelier di Lombardia. Ci ha aperto la sua “creatura”, un ufficio-caveau inaugurato qualche anno fa in quel di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano, con l’orgoglio e la passione che ha solo chi ama profondamente quello che fa. 

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«C’è troppa cultura della performance. Il vino va inserito nel contesto storico, abbracciando la sua totalità, a prescindere dal giudizio sulla singola bottiglia» ci spiega mentre adagiamo il microfono sul tavolo e lui apre un Madeira del 1977, giusto per rendere la chiacchierata ancora più piacevole e farci capire cosa lo ha spinto a dedicare anima e cuore al mondo del vino. 

Nato e cresciuto a Merate, in provincia di Lecco, dopo il liceo scientifico e una grande passione per la letteratura e la poesia, rimane folgorato dal mondo enogastronomico a 16 anni. I suoi genitori, a causa della sua anima un po’ indisciplinata, lo mandano in punizione in Valle d’Aosta a fare la stagione estiva come cameriere. «Mi divertii come un matto e scoprii un mondo che mi piaceva moltissimo perché vedevo la possibilità di comunicare della bellezza, diversa nella forma dalla letteratura, ma nella sostanza identica, poiché si trattava sempre di comunicare un’emozione». 

I corsi per diventare sommelier – il primo a Lecco, il secondo e il terzo a Milano – li porta avanti e li conclude giovanissimo. Poi, ormai definitivamente innamorato del vino, si iscrive a enologia a Milano in Statale, anche se capisce subito che la vita produttiva non è forse proprio la sua strada. Ma la soluzione arriverà poco dopo. Insieme a Giacomo Satta, figlio di Michele Satta, noto produttore bolgherese, fa un viaggio con altri vigneron nostrani in giro per cantine in Francia prima di andare al Winexpo di Bordeaux. Tante visite, tante verticali, poi l’assaggio di uno Chevalier-Montrachet Grand Cru 2000 di Jean Chartron. «Un’epifania. È stata la prima esperienza nella quale ho colto l’importanza del fattore tempo nel vino. Sono tornato a casa con l’idea che dovevo capirne di più». 

Comincia a ricercare bottiglie finché alla fine del primo anno di università viene contattato dalle Aste Bolaffi di Torino dove aveva comprato qualche vino e conosciuto il presidente senza sapere chi fosse. Lascia Milano, va a lavorare per loro come assistente nel dipartimento dei vini. «Il lavoro consisteva nel ricercare collezioni e raccogliere conferimenti, analizzare bottiglie, pulirle, descriverle, fotografarle e preparare il catalogo d’aste, sempre molto importante in termini economici». Forte di quell’esperienza si fa un occhio notevole nello scoprire i falsi: «sono un problema gigantesco, in Cina si stima che circa il 40% dei vini di lusso sia composto da vini falsi». A 23 anni, un amico e conoscente (che poi diventerà anche suo socio), esperto commerciante di monete e orologi, decide di aprire una sua attività e lo coinvolge. «I clienti che hanno un’attenzione estetica ce l’hanno su tutto, anche sul vino». Nel 2018 partono, il covid li mette in difficoltà ma proseguono e oggi la sua società è diventata un punto di riferimento per clienti privati, non necessariamente facoltosi, che vogliono comprare orologi, gioielli, monete, vestiti e, naturalmente, vino e distillati. «Non vendo bottiglie da 6 euro, non è il mio mercato, però ci tengo ad avere vini che possano essere acquistati da tutti. Faccio tantissima ricerca sulla maturità del vino: ogni giorno apro una bottiglia vintage e spesso scopro vini di 30/40 anni ai quali nessuno darebbe un euro e invece sono molto buoni». 

Il Master Alma nel 2019 gli serve per dare ulteriore slancio alla sua sete di sapere, oltre che di vino, e alla fine di questa esperienza decide di continuare il percorso formativo incontrandosi con costanza con un gruppo di colleghi sommelier con i quali condivide bottiglie e impressioni. «Questo mi ha fatto fare un salto in avanti incredibile: nel vino ci vuole talento, ma ci vuole soprattutto tanta costanza. Aprire ogni giorno bottiglie per ragionarci sopra è un’esperienza fondamentale». La vittoria al concorso regionale è una diretta conseguenza di questo approccio. 

Obiettivi futuri? «Vorrei dedicare attenzione al lato comunicativo, organizzando serate, eventi per i miei clienti, tutti grandi appassionati, magari approfondendo territori sconosciuti e piccoli produttori. Il mondo del vino non è stato ancora definito in modo esatto come parte di quello culturale. È un mondo che è stato nobilitato solo recentemente. Ci sono tanti aspetti sui quali lavorare, a partire dal linguaggio e dalla descrizione del vino in modo più esclusivo e puntuale». 

Una zona sottovalutata? «Te ne dico due. In Lombardia la provincia di Bergamo: c’è un fermento enorme, ragazzi giovani, che hanno lavorato all’estero, stanno aprendo nuove cantine. Poi ci sono tutte le zone esposte a nord della Sardegna: oggi sono poco vitate, ma lo diventeranno».