1965-2025. Buon Compleanno AIS | Anni '00. La rivoluzione naturale

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Speciali ViniPlus
di Anna Basile
07 luglio 2025

Non solo l’assordante frastuono dello scandalo di Brunellopoli e la copertina al veleno dell’Espresso. Il primo decennio del nuovo millennio vede la nascita del cosiddetto movimento dei “vini naturali”

Tratto da ViniPlus di Lombardia - N° 28 Maggio 2025

Sono, probabilmente, i “vini naturali” i veri grandi, e in parte inattesi, protagonisti degli anni 2000. In Europa e nel Nuovo Mondo urge un cambiamento radicale: il vino sta seguendo strade che, secondo un piccolo ma agguerrito gruppo di produttori, soprattutto vigneron, lo allontanano dall’universo agricolo originario in cui è nato per portarlo verso una dimensione industriale e chimica. Già alla fine degli anni Novanta, in Italia, si comincia a discutere della “naturalità” del vino, ma è nel 2000 che si affrontano questioni nevralgiche quali identità territoriale, caratteristiche organolettiche, rispetto dell’ambiente. Sono soprattutto i vignaioli e il mondo artigianale a rivendicare una produzione del vino che torni nelle loro mani e a volere un mercato che non richieda loro di snaturare le uve e tradire la terra. È il momento di cambiare. Nascono così associazioni per la tutela del vino inteso come prodotto naturale: nel 2001, Nicolas Joly fonda Renaissance des Appellations che promuove l’agricoltura biodinamica; nel 2004 nasce ViniVeri, un consorzio di produttori- artigiani che condivide una visione di viticoltura sostenibile; il 2006 è l’anno di VinNatur, di Angiolino Maule, che valorizza i vini frutto di procedimenti sani che escludono l'uso della chimica. Friuli Venezia Giulia, Toscana e Piemonte sono le prime regioni che sperimentano pratiche più naturali, rifiutando l'uso di sostanze chimiche in vigna e in cantina. Tra i pionieri ci sono Josko Gravner, che guarda alla Georgia e non alla California per i suoi vini, e Radikon, che nel 2001 imbottiglia la metà della produzione senza l’aggiunta di solforosa e nel 2003 la elimina completamente.

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Negli anni, il movimento si allarga ad altri produttori, portando i “vini naturali” a diventare sempre più noti. Nel nuovo decennio, anche la comunicazione del vino esige voci più sobrie, capaci di raccontare e non dare esclusivamente punteggi asettici. Il giornalista e divulgatore Sandro Sangiorgi diventa editore e fonda la rivista Porthos, esempio di uno stile nuovo che vuole dare voce a “figure controcorrente”, come recita il manifesto dell’editore, e approfondire il lavoro dei vignaioli. La prima intervista è a Elisabetta Foradori, che nel 2002, non a caso, sceglie l’agricoltura biodinamica. Porthos però è tra i pochi a non cercare il clamore: il decennio, ormai giunto al tramonto, assiste infatti allo scoppio di diversi scandali. Nel marzo 2008, il giornalista Franco Ziliani e il wine writer James Suckling puntano i riflettori sui produttori di Brunello che hanno impiegato vitigni internazionali per la produzione del mitico vino di Montalcino. Il caso passa alla storia come Brunellopoli, e le indagini appurano che quantitativi di vino delle annate dal 2003 al 2007 sono state “tagliate” con uve e vini diversi dal sangiovese. Il 2008 è appena cominciato ma la bufera più grossa non si è ancora abbattuta sul mondo del vino. Attende l’occasione giusta: a ridosso dell’edizione del Vinitaly, il settimanale l’Espresso esce con un titolo e una copertina shock, Velenitaly, che scimmiottando il nome della manifestazione più importante d’Italia, scredita indistintamente i produttori accusandoli di addizionare al vino sostanze dannose per il consumatore. Si scatenano polemiche ben più grandi delle effettive anomalie che le indagini portano alla luce: qualche furbetto c’è, sì, ma non è mai stata a rischio la salute dei consumatori.

Bianco Breg 2001 - Gravner

“Fare il vino in questo modo è come cercare l’acqua pulita del fiume: non devo andare a cercare l’acqua pulita nella foce, vicino al mare, devo andare in montagna, dove nasce il fiume. È quello che ho fatto per il vino: cercare alla sorgente”. È nelle parole di Josko Gravner l’essenza del suo Breg 2001, uno dei vini più rappresentativi nell’universo dei macerati, con il quale Gravner comincia a mettere in discussione tecnologie e ammodernamento nella produzione e sceglie l’affinamento in anfora. L’uvaggio ottenuto da diversi vitigni (chardonnay, sauvignon, pinot grigio e riesling italico), la fermentazione separata, l’affinamento congiunto e infine una lunga macerazione nei qvevri, anfore georgiane interrate, con lieviti indigeni e senza il controllo della temperatura: ecco il processo con cui si mette al mondo un vino che oggi è un’icona. Infatti, queste caratteristiche sono ben note nella produzione di Josko Gravner, ma il Breg 2001 è il risultato della primissima esperienza produttiva: all’epoca, la cantina non era ancora ultimata e una parte del vino ha fatto fermentazione in grandi tini di legno, con un passaggio in anfora successivo alla svinatura, avvenuta ad aprile. Imbottigliato dopo un affinamento di 3 anni in botti grandi, non subisce né chiarificazioni né filtrazioni. “Non sono capace di cavalcare due cavalli nello stesso momento. Se per me l’anfora è il massimo allora tutto deve essere fatto in anfora”: una filosofia che Gravner ha scelto per tutta la sua produzione, dando al vino l’anima del territorio e la forza di una tradizione lunga 5000 anni.