Le Pievi: genesi e futuro di un progetto che guarda lontano

Le Pievi: genesi e futuro di un progetto che guarda lontano

Degustando
di Sara Missaglia
18 dicembre 2025

A Milano, il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano ha dato vita a un momento di confronto dedicato alle Pievi come espressione di identità, territorio e visione futura. Un’occasione per riflettere sul valore culturale, storico ed economico di una delle denominazioni simbolo del vino italiano.

Il progetto “Pieve” affonda le sue radici nel 2020, quando il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano ha dato il via ad un percorso di studio, poi approvato nell’ottobre del 2024 nel nuovo disciplinare.  A fondamento un approfondito lavoro storico, geografico e geologico che ha portato all’individuazione di 12 Unità Geografiche Aggiuntive (UGA), indicate in etichetta con la menzione “Pieve”: si tratta non tanto e solo di una semplice descrizione territoriale, quanto di un vero e proprio manifesto progettuale della denominazione, nel tentativo di superare i confini puramente amministrativi o geografici per arrivare alla definizione di un’identità distintiva. 

Montepulciano: numeri, territorio e valore economico

Dal punto di vista territoriale ed economico, Montepulciano rappresenta una realtà che si estende su una superficie complessiva di circa 16.500 ettari, di cui circa 2.000 ettari sono occupati da vigneti (dato aggiornato al 31 dicembre 2024). Il potenziale produttivo del Vino Nobile di Montepulciano DOCG è pari a circa 1.200 ettari, con una produzione di circa 8.850 tonnellate di uva nel 2024 e 6.734.263 bottiglie immesse sul mercato nello stesso anno. Il valore medio della produzione vinicola si attesta intorno ai 65 milioni di euro, mentre il valore patrimoniale delle aziende vitivinicole raggiunge circa 1 miliardo di euro. L’incidenza del vino sull’indotto locale supera il 70%, a conferma di un sistema economico fortemente integrato con il territorio. La piramide della denominazione vede l’Annata come base, la Riserva come livello intermedio e la Pieve come vertice (top di qualità), destinata a essere una quota piccola (stima 3-5% a regime), quindi nicchia ad alta qualità.

Annata 2025: ottima in vigna, complicata sul mercato

Se in vigna e poi in cantina l’annata 2025 potrebbe rivelarsi in futuro tra le più interessanti, grazie a condizioni climatiche davvero favorevoli, sul mercato anche il Vino Nobile di Montepulciano sta invece attraversando una fase complessa, segnata dai cambiamenti in atto nei consumi, dalla concorrenza della mixology, dai dazi e dalle tensioni geopolitiche, che incidono in particolare su mercati strategici come quello statunitense, fondamentale per la marginalità della denominazione. 

Andrea Rossi, presidente del Consorzio, ha ribadito la necessità di una strategia nazionale e di una comunicazione più semplice e unitaria in grado di valorizzare il vino italiano come espressione di cultura, territorio e storia, evitando un linguaggio eccessivamente elitario. Guardando alle prospettive, ha evidenziato che la denominazione ha tenuto il mercato nei primi mesi del 2025, mentre il 2026 rappresenterà una fase di transizione, con l’auspicio che dal 2027 possa iniziare una nuova crescita, grazie agli investimenti e alle innovazioni messe in campo.

L’eredità di Francesco Redi e le potenzialità dell’enoturismo

L’incontro, moderato da Giulio Somma, direttore de Il Corriere Vinicolo, ha visto alternarsi voci autorevoli del mondo del vino, della cultura e dell’informazione. Andrea Rossi, Presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, ha ripercorso il lungo cammino che ha portato alla nascita del progetto “Pieve”, mentre Riccardo Pizzinelli, presidente della Società Storica Poliziana, ha richiamato la figura di Francesco Redi: medico, naturalista e poeta, che ha celebrato il vino di Montepulciano nella composizione poetica “Bacco in Toscana” del 1685. In quei versi, Redi affida a Bacco e Arianna l’elogio dei migliori vini della regione, proclamando senza esitazione che “Montepulciano d’ogni vino è Re”, a testimonianza di una fama consolidata già nei secoli passati. 

Uno sguardo innovativo sul rapporto tra vino e territorio è arrivato dall’intervento di don Manlio Sodi, professore ordinario presso l’Università Pontificia Salesiana, che ha affrontato il tema del turismo spirituale attraverso l’idea di un “Pellegrinaggio delle Pievi di Montepulciano”. Un progetto enoturistico che prende ispirazione dal Pellegrinaggio Artusiano ideato da Leonardo Romanelli nel 2011, un cammino che unisce il trekking alla cultura gastronomica e alla degustazione. 

Il quadro complessivo del progetto è stato approfondito da Andrea Lonardi, curatore del volume Le Pievi del Vino Nobile di Montepulciano, mentre Luciano Ferraro, vicedirettore del Corriere della Sera, ha offerto un taglio originale: non ha parlato solo del presente, ma ha ripercorso 150 anni di articoli d’archivio del Corriere sul Nobile e su Montepulciano. Il filo conduttore è che Montepulciano ha saputo legare storicamente vino e arte/cultura (musica, teatro, cinema, eventi), rendendo il vino parte di una narrazione più ampia.

La degustazione: focus sul millesimo 2022

La degustazione è stata condotta da Giuseppe Carrus, curatore della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, con l’assaggio di cinque Vino Nobile di Montepulciano “Pieve”, tutti dell’annata 2022: una scelta che ha permesso di confrontare vini provenienti da aree diverse del territorio mantenendo costante il millesimo. 

Pieve Valiano - Tenuta Trerose

Il primo vino in degustazione è Pieve Valiano, l’unica Pieve che si discosta dalla pianura, collocata interamente nel settore orientale del territorio. Carrus ha scelto di aprire con questo vino per la sua finezza estrattiva e per l’eleganza complessiva, risultata la più immediata del gruppo. Al naso emergono profumi di frutto rosso croccante, luminoso, accompagnati da lievi accenni speziati. In bocca colpisce soprattutto la freschezza, ben integrata con l’acidità e sostenuta da una chiara sapidità finale. Il sorso è scorrevole, progressivo, mai banale, con un tannino cesellato, preciso e non astringente, sorprendentemente già equilibrato nonostante la giovane età del vino. Un’espressione che restituisce in modo esemplare l’idea di Pieve come eleganza territoriale, più che come ricerca di potenza. 

Pieve Gracciano - Tenuta di Gracciano della Seta

Rispetto a Pieve Valiano, qui si avverte una struttura leggermente più marcata e una maggiore concentrazione. Il profilo aromatico resta ancorato alla frutta rossa, che appare però un po’ più matura. In bocca la differenza principale è data dalla trama tannica, più presente e ancora in fase di assestamento, pur senza mai risultare aggressiva. La progressione rimane fluida e profonda, con una persistenza costruita sulla sapidità, che Carrus definisce come il vero “sapore del vino”, ciò che resta sulla lingua e accompagna il sorso nel tempo. L’alcolicità più elevata è ben bilanciata dall’acidità e dalla struttura, senza sbuffi o eccessi. Un vino dalle molteplici sfaccettature, con un uso ben dosato del legno, di ottimo carattere e mai banale.

Pieve Cervognano - Viacroce Tenuta Calimaia Frescobaldi

Il terzo vino segna un ulteriore passaggio in termini di complessità e carattere. Qui il tannino assume un ruolo diverso: non più solo fine o concentrato, ma dotato di maggiore incisività e personalità, pur restando elegante e destinato a un’evoluzione positiva nel tempo. Nonostante una struttura importante, la bocca rimane pulita e fresca, grazie a un’acidità perfettamente integrata, che non genera asperità ma contribuisce alla bevibilità. Carrus sottolinea come questo equilibrio tra freschezza, tannino e sapidità sia particolarmente riuscito in un’annata calda, dimostrando la capacità del progetto Pievi di esprimere eleganza e precisione anche in contesti climatici complessi.

Pieve Sant’Ilario - Cantina del Redi

Con il quarto vino si entra in un registro più classico e austero. Pieve Cervognano appare meno immediata, più riservata sia al naso sia in bocca, con una complessità che si esprime attraverso una struttura giocata sulle componenti dure: acidità, sapidità e tannino. La componente fruttata passa in secondo piano, lasciando spazio a un’ossatura più rigida e verticale. È un vino che richiede tempo, sia nel bicchiere sia in bottiglia, per essere compreso appieno. Tuttavia, pur mostrando una fase giovanile più severa, non presenta eccessi: il sorso non si contrae, non diventa mai corto o astringente, e mantiene una progressione coerente fino alla fine. Un vino da leggere in prospettiva evolutiva, pronto a raccontare una Pieve più strutturata e meno immediata.

Pieve Le Grazie - Vigna Chiusino Talosa

L’ultimo vino proviene dal versante occidentale, a ridosso del centro di Montepulciano, in un’area caratterizzata da una maggiore presenza di calcare. Rispetto a Sant’Ilario, questo vino appare più leggibile già in questa fase. Il profilo olfattivo torna su una frutta rossa cangiante, accompagnata da note varietali tipiche del Sangiovese, con sfumature ematiche, ferrose e lievemente agrumate. In bocca emerge un equilibrio convincente tra parti morbide e le durezze: l’alcolicità, pur elevata, è ben armonizzata, mentre tannino e acidità risultano più misurati rispetto al vino precedente. Ne deriva un sorso armonico, accessibile ma non semplice, che chiude il percorso riportando l’attenzione su equilibrio, bevibilità e grande eleganza.

Nel complesso, la degustazione ha messo in evidenza differenze chiare tra le Pievi, inserite tuttavia all’interno di una matrice comune. Questa non è data solo dall’annata o dalla denominazione, ma da uno stile condiviso: uso misurato del legno, estrazioni calibrate, attenzione all’equilibrio anche in annate calde. Sono vini che mantengono carattere e identità, senza rinunciare a piacevolezza, scorrevolezza e precisione aromatica, dimostrandosi, al di là delle sfumature territoriali, autentici e convincenti compagni di tavola.